Qual è il confine tra libertà di parola e incitamento all’odio?

La vicenda dell’espulsione di Mahmoud Khalil dagli Usa, decretata da Trump, ha scatenato un acceso dibattito tra chi vorrebbe proteggere il Paese dai fiancheggiatori del terrorismo e chi si appella alla libertà di parola garantita dal Primo Emendamento.
Una protesta a New York che ha unito diversi lavoratori federali e sindacati nell'opporsi ai tagli decretati dall'amministrazione Tump, in cui è stato esposto anche un cartello a sostegno della liberazione di Khalil. Foto EPA/SARAH YENESEL

Negli Stati Uniti sta avvenendo una furibonda battaglia politica, talmente polarizzante che le persone coinvolte non sono neppure d’accordo sull’oggetto del conflitto. Da una parte ci sono coloro che sostengono di proteggere la nazione dai sostenitori del terrorismo, dall’altra ci sono quelli che affermano di lottare per il Primo Emendamento della Costituzione statunitense, il quale protegge il diritto alla libertà di parola.

Al centro del conflitto c’è Mahmoud Khalil, un uomo siriano di famiglia palestinese di circa trent’anni. Nella primavera dell’anno scorso ha avuto un ruolo importante nelle proteste contro la guerra a Gaza che si sono svolte presso la Columbia University di New York. All’epoca era uno studente della Columbia, e ha assunto il ruolo di portavoce per Columbia University Apartheid Divest (Cuad), una coalizione di organizzazioni studentesche che fa pressioni sulla prestigiosa università newyorkese per porre fine a tutti i legami economici e accademici con Israele, durante le negoziazioni con l’amministrazione universitaria.

L’obiettivo del Cuad è in linea con il movimento più ampio del Bds “Boycott, Divestment, Sanctions” (Boicottaggio, Disinvestimento, Sanzioni), che promuove la resistenza al comportamento israeliano nei confronti dei palestinesi attraverso misure punitive economiche. Negli Stati Uniti gli individui sono liberi di sostenere il movimento Bds, ma molti Stati hanno approvato leggi che vietano al governo statale di collaborare con agenzie che appoggiano il movimento Bds. Sia Cuad che Bds sono accusati di essere antisemiti, mettendo in discussione il confine tra libertà di parola e incitamento all’odio, e cosa debba essere protetto dal Primo Emendamento.

Torniamo a Khalil. Nell’aprile 2024 la Columbia lo aveva sospeso temporaneamente e senza motivazioni chiare – infatti la sospensione è durata solo un giorno, e Khalil ha apparentemente ricevuto scuse dall’ufficio del presidente dell’università. Il 5 marzo scorso Khalil ha partecipato a un’altra protesta all’Università di Barnard. A differenza di molti altri manifestanti, tuttavia, Khalil non si è mai coperto il viso durante le proteste, e questo lo ha reso un bersaglio facile, questa volta per l’ordine esecutivo 13899 dell’amministrazione Trump.

«A tutti gli stranieri residenti che hanno partecipato alle proteste a favore del jihad: vi mettiamo in guardia», recita il sommario dell’ordine esecutivo. E prosegue: «Nel 2025, vi troveremo e vi deporteremo. Revocherò inoltre rapidamente i visti studenteschi di tutti i simpatizzanti di Hamas nei campus universitari, che sono stati infestati dal radicalismo come mai prima d’ora».

Così, l’8 marzo Khalil è stato arrestato da agenti federali e portato in un centro di detenzione in Louisiana. In un post sui social dalla Casa Bianca, Donald Trump dichiara che le autorità hanno «orgogliosamente arrestato e detenuto Mahmoud Khalil, uno studente straniero radicale e filo-Hamas nel campus della Columbia University. Questo è il primo arresto di molti altri che verranno».

Khalil è regolarmente residente negli Stati Uniti, titolare di una green card, sposato con una cittadina americana, anche lei di origine siriana, attualmente all’ottavo mese di gravidanza. I dettagli delle accuse contro di lui non sono molto chiari. Il segretario di Stato, Marco Rubio, ha citato una legge che afferma che si può espellere uno straniero la cui presenza negli Stati Uniti abbia conseguenze potenzialmente negative per la politica estera Usa. Inoltre, la Casa Bianca sostiene che Khalil abbia organizzato manifestazioni durante le quali sono stati distribuiti volantini pro-Hamas.

Gli avvocati di Khalil affermano che non è stato lui a distribuirli, e che non ha nessuna connessione con Hamas. Sostengono invece che l’arresto di Khalil abbia motivazioni politiche, e che l’amministrazione Usa stia cercando di sopprimere l’attivismo studentesco prendendo di mira i non cittadini. Anche se non è facile, i residenti permanenti con la green card, come Khalil, possono essere deportati in certe condizioni, come nel caso di appartenenza a gruppi terroristici. Ma questo richiede almeno un’udienza davanti a un giudice dell’immigrazione.

Adesso resta da vedere quale sarà la decisione del giudice. Il caso di Mahmoud Khalil mette in luce quanto possa essere sottile il confine tra libertà di parola e incitamento all’odio, soprattutto quando in gioco c’è la storica alleanza tra Stati Uniti e Israele.

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