Chiesa: futuro, giovani e identità

Ultimo appuntamento degli incontri di “Parole di speranza” per parlare di giovani e futuro con Alberto Rossetti e Marta Rodriguez Diaz. Intervista a quest’ultima, autrice del libro per Cn “Il genere, i giovani e la Chiesa”

Si è concluso nel pomeriggio di sabato 22 marzo con un incontro su “Giovani e futuro”, il ciclo dei tre incontri del Festival di Spiritualità per il biennio 2024-2025 sulle “Parole di speranza” nell’anno giubilare, presso il Focolare Meeting Point di Roma in zona piazza Venezia.

Organizzato da Città nuova con la comunità dei Focolari di Roma, i primi incontri, iniziati a fine novembre hanno avuto per temi il perdono e il dialogo.

Stavolta a parlare di giovani, in un dialogo franco, di lettura del presente e di apertura, il giornalista Pietro Cocco come moderatore, Alberto Rossetti, psicologo e psicoanalista di adulti e adolescenti e Marta Rodriguez Diaz docente di filosofia all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, coordinatrice dell’area di culturale dell’istituto di studi superiori sulla donna e membro del comitato editoriale di “Donna, Chiesa, mondo” per L’Osservatore Romano.

Infine, anche l’esperienza della giovane Cristina De Carolis su Up2me, programma dei Focolari di formazione ed educazione all’affettività e alla sessualità. Nel dibattito si è partiti dalla definizione di adolescenza. «Ardua da definire – ha detto Rossetti -. Inoltre, facciamo fatica a vederli, i veri giovani, perché noi stessi ci sentiamo tali e in difficoltà a stare in relazione nei momenti di crisi». Si è poi affrontato di come «cresce anche negli ambiti cattolici la polarizzazione, ma questa non è la via della Chiesa. Ad essa servono ragioni aperte, specie con i giovani, un sì da dire al nostro tempo» per Rodriguez.

E proprio a margine dell’evento abbiamo posto alcune domande a Marta Rodriguez Diaz che, tra l’altro, ha anche ricoperto l’incarico di responsabile del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, e che per i tipi di Città Nuova ha scritto il volume “Il genere, i giovani e la Chiesa”: un testo sui ragazzi di oggi, rivolto ad educatori e genitori.

Partiamo dal titolo, figlio dei nostri tempi e probabilmente impensabile fino a qualche anno fa per la presenza della parola “genere”. Cosa può dirci in proposito
Credo che sia un compito della Chiesa parlane. Ho lavorato in Vaticano per due anni e ho avuto la fortuna di partecipare alla riunione presinodale del 2018 che poi ha portato al Sinodo dei Giovani e uno degli argomenti emersi con molta forza da parte loro è che volevano da parte della Chiesa una parola chiara ed empatica sulla questione del “genere”.  Poi è arrivato il testo del Christus Vivit. A quel punto mi sono detta: “allora se loro stessi lo chiedono dobbiamo metterci ordine”. Ma di fronte a questa “sete” vedo anche che tante volte noi come Chiesa facciamo fatica a fare un passo in avanti perché ci sono dei rischi, specie di malintesi. Personalmente sento questa chiamata a creare un terreno dove i giovani possano ascoltare la Chiesa e quest’ultima possa fare altrettanto su una tematica che a loro sta molto a cuore, perché stiamo parlando di qualcosa che tocca la loro identità e tanti giovani si allontanano dalla Chiesa a causa di questo argomento. È assolutamente vitale. Non possiamo non affrontarla, dialogando, accompagnando e dando risposte chiare.

Uno dei problemi, dunque, è che non si parla di genere specie in ambito cattolico…
Sì, non si ascoltano le domande dei giovani né cosa pensano. Siamo in un momento di cambio di epoca. Lo ha detto papa Francesco. Non si tratta solo di cambiamento epocale; si tratta di crisi antropologica totale, dove se esistere fino a poco tempo fa era una buona notizia, questi giovani di oggi mettono anche in dubbio il valore della loro esistenza e non sono certi che esistere sia una così buona notizia.  Nella mia esperienza, con tanti ragazzi che passano per una scuola a un’università cattolica, ho constatato che questi giovani escono da lì con il loro paradigma molto immerso nella cultura del nostro tempo, ma senza che nessuno li abbia interpellati, perché non è un tema di cui si parla. E quindi, nel momento in cui ci si confronta, loro ripetono ciò che gli adulti vogliono sentire, ma così non si mettono in discussione. Ecco allora che anche i ragazzi vicini a movimenti ecclesiali, con una buona formazione, non approfondiscono l’antropologia cristiana. Il pericolo è di accettare, senza lasciarsi interpellare in queste loro categorie e questo lo ritengo un fallimento educativo. C’è bisogno di dialogo sincero, fatto con interesse, ma che fornisca chiarezza.

Non c’è da avere alcuna paura, dunque, a parlare di genere?
La paura paralizza, ma non è evangelica. Credo che l’empatia per la sofferenza di tanti ragazzi confusi ci metta in moto, con il desiderio di incontrare, di ascoltare e anche di metterci in discussione perché credo che noi adulti non abbiamo affrontato bene certe tematiche. È una grande opportunità per aprirci, per convertirci e convertire i nostri schemi e cercare nuove strade. Si parla di ‘generazione di cristallo’, di apparente rifiuto di ciò che è dogmatico, ma è anche vero che nei giovani c’è una ricerca profonda dell’autenticità e questa generazione è certamente più libera da schemi. Hanno da insegnarci. Anche se nel mondo post-moderno, in cui non si riconosce l’autorità come profetizzava Paolo VI, si riconoscono però i testimoni. Occorre mettersi in cammino con loro come Gesù con i discepoli di Emmaus».

E la risposta da dove arriverà?
Credo che in questo caso, per la mia esperienza, non sarà la Chiesa, come Curia, ad aprire la strada perché forse non è suo compito. La profezia viene dal campo, dal basso, diciamo, poi la Chiesa come istituzione la conferma, però non tocca a lei provocare la profezia. Per questo è importante che gli educatori siano attori.

La riflessione sul genere è un fenomeno solo italiano o più internazionale? In Africa sta penetrando, Nigeria, Rwanda, però è ancora un fenomeno molto tacito. È però tipicamente occidentale. Mi colpisce infatti, che facendo una breve ricerca sul web “cosa non chiedere a un ragazzo non binario” si possano avere le medesime risposte e le stesse argomentazioni tra i giovani di  Roma, Londra, Messico, Madrid o Buenos Aires.

Ai giovani di questa generazione va riconosciuto certamente la capacità di essere più inclusivi…
Hanno una solidarietà che potremmo definire viscerale. E tanti ragazzi che forse non hanno una particolare confusione identitaria, comunque abbracciano al 100% questo discorso con questo sentimento di compartecipazione profonda. E quando vedono una Chiesa non credibile su queste tematiche se ne allontanano.

Un’ultima parola su un argomento correlato. In ambito educativo, ad oggi si assiste al dilagare di maternage e assenza di paternità…
Sì, c’è una forte assenza del maschile ed è un fenomeno che ancora non stiamo affrontando con la serietà richiesta, perché, credo che ci sia ancora bisogno di un certo femminismo: discriminazioni da superare e diritti da riconoscere. Ma, culturalmente, l’identità oggi realmente “schiacciata” è quella maschile. La stessa cronaca ci racconta che essere maschio vuol dire essere abusatore, violento, patriarcale, criminale. E noi cosa diciamo a questi ragazzi? Quali sono i modelli che diamo loro? Anche nei cartoni animati, ci sono sempre eroine che salvano i principi perché questi ultimi sono degli inetti e ciò impatta sull’identità maschile. Lo vedo anche nei seminari. E a questi ragazzi ricordo di come loro, quali preti perché uomini, sono parte del dono per la Chiesa. Ma è vero, in generale c’è un vuoto e questo provoca pasticci, perché non sanno più come rapportarsi con le donne e ne soffrono. Sì, ci vogliono figure maschili nell’educazione, ci vuole un ideale di paternità. Anche questa si prefigura come un’opportunità per i nostri tempi.

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