ReArm Europe, scenari possibili

Il piano di riarmo da 800 miliardi di euro, rinominato da ReArm Eu in Readiness 2030,  non è stato ancora pubblicato dalla Commissione europea ma l’impianto anticipato dalla von der Leyen presenta numerose anomalie ed effetti collaterali pericolosi. La questione indefinita della Difesa europea. La crescita della diseguaglianza tra i Paesi europei che si armeranno senza una strategia comune. Elementi per un dibattito necessario
Ursula von der Leyen, presidente Commissioe Ue, e Kaja Kallas, Alta rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza EPA/OLIVIER HOSLET / POOL

Del piano ReArm Europe sappiamo finora che prevede di mobilizzare potenzialmente 800 miliardi di euro per riarmare gli Stati membri dell’Ue, attraverso spese nazionali in deroga – autorizzata eccezionalmente per le armi – ai parametri del patto di stabilità, un ricorso a prestiti, sempre agli Stati membri, da parte delle istituzioni europee e tramite i fondi del bilancio comune europeo, usando in particolare i fondi di coesione. Eterogenesi dei fini dato che tali fondi erano nati – negli anni 1980 – per promuovere lo sviluppo economico e sociale delle regioni Ue più svantaggiate.

A cosa servirà questa enorme mole di denaro lo sapremo quando leggeremo nel dettaglio il piano ReArm Europe, che non è ancora stato pubblicato dalla Commissione Ue.

È sin d’ora certo, tuttavia, che servirà a riarmare non l’Ue ma i suoi Stati membri, che se ne serviranno per le proprie politiche di difesa rispettive. Infatti, non essendoci una politica estera comune a livello dell’Unione Europea, non può neanche esserci una politica di difesa che ne è l’espressione.

La nuova posizione degli Usa di Trump, che manifestano (a parole, resta da vedere se seguiranno i fatti) l’intenzione di defilarsi dal ruolo di protettori dei Paesi europei che hanno avuto dalla seconda guerra mondiale ad oggi (compreso l’ombrello atomico Usa a difesa del nostro continente) offre agli stati Ue l’occasione storica di cominciare a costruire una difesa comune, primo passo verso un’autonomia strategica e militare che darebbe all’Ue un ruolo di peso nei confronti delle superpotenza Usa, Russia e Cina.

Pare altresì logico ricostituire gli armamenti utilizzati per sostenere l’Ucraina nella guerra di aggressione sferrata dalla Russia contro di lei.

Non si parla di Difesa comune

Tuttavia, qui non si stratta né di costituire una difesa comune, né unicamente di rimpiazzare armi. Di una difesa comune neanche se ne parla. Una difesa comune presupporrebbe cominciare a fare passi da gigante, e molto in fretta, verso uno stato federale, almeno tra un nocciolo duro di Paesi con interessi conciliabili, stato che si doterebbe di una politica estera unica, compreso il braccio militare. Ma, ripeto, non è minimamente all’ordine del giorno.

L’effetto di ReArm Europe sarà di aumentare esponenzialmente il potenziale bellico di 27 stati, dotati di capacità e risorse assai disuguali e che vanno in ordine sparso sulla scena internazionale, ognuno con i propri interessi da difendere.

E qui nascono i problemi. A cosa dovrebbero servire tutte queste nuove armi? O a difenderci da un attacco diretto russo all’Ue, tutto da dimostrare come abbiamo visto , oppure altresì in funzione dissuasiva, quindi potenzialmente anche a scopo offensivo.

Confronto nucleare

Tuttavia, un’eventuale guerra con la Russia si volgerebbe rapidamente verso un confronto nucleare. Ora, l’Ue non è una potenza nucleare. Si dirà: ma la Francia è disposta a mettere le sue armi atomiche a servizio degli altri Stati Ue. A parte il piccolo dettaglio che la costituzione francese le impedisce di usarle a difesa di un altro stato che non sia la Francia, cosa possono 290 testate atomiche contro le oltre 5.500 della Russia?

E poi sul campo, se davvero Mosca sganciasse un’atomica poniamo e speriamo che non avvenga mai, sull’Estonia, davvero Parigi risponderebbe con l’uso dell’arma atomica, esponendosi a rappresaglie russe sul proprio territorio? Non è pensabile.

Gli armamenti convenzionali che saranno acquisiti con gli 800 miliardi che ReArm Europe intende mobilizzare non avranno il benché minimo effetto dissuasivo di fronte alla prima potenza nucleare al mondo.

E se davvero un giorno l’Ue entrasse in guerra con la Russia, chi combatterebbe sul campo? 27 eserciti, con 27 comandi, con armamenti in larghissima parte non interoperabili (130 diversi tipi d’arma in dotazione ai vari eserciti)? Chi darebbe gli ordini?

Si dirà: ma abbiamo l’esperienza Nato, in cui abbiamo preso l’abitudine di operazioni militari congiunte. Sì, ma con il comando saldamente in mano Usa. La Nato ci ha abituati, noi europei, a obbedire, non a comandare. L’unico posto di rilievo appannaggio dell’Ue è quello di segretario generale della Nato, che è una funzione civile e non militare. Sul campo di battaglia, di fronte a un esercito russo compatto, 27 armate in ordine sparso che possibilità di vittoria avrebbero?

Si potrebbe cominciare a lavorare su un esercito almeno parzialmente comune a livello europeo, come aveva immaginato all’inizio degli anni ’50 del secolo scorso il progetto di Comunità europea di difesa tra i primi 6 stati membri della Ceca (tra l’altro per permettere – in una cornice comune – il riarmo tedesco, proprio in funzione anti-sovietica), progetto naufragato sul nascere.

Al momento, né sistemi d’arma comuni, o almeno maggiormente interoperabili, né tantomeno un esercito comune sono in agenda. Può darsi che ci arrivi come conseguenza del riarmo sul piano nazionale, ma cominciare con l’armare pesantemente 27 eserciti non coordinati tra loro sembra come minimo mettere il carro davanti ai buoi.

Un piano di spesa gigantesco, quello di ReArm Europe, che pare quindi totalmente inutile (o almeno sovradimensionato, se si trattasse solo di rimpiazzare gli armamenti usati nella guerra in Ucraina).

Non solo: è un piano che presenta almeno tre rischi importanti.

Quale sicurezza?

In primo luogo, tutte queste armi aumenteranno il livello di sicurezza in Europa? O non c’è piuttosto la possibilità che il massiccio riarmo dei Paesi Ue possa essere interpretato da Mosca come una provocazione e quindi creare un casus belli che al momento non pare esistere? E che quindi, invece che uno strumento di deterrenza, il riarmo diventi la causa di un’escalation non voluta?

Non sarebbe più saggio investire risorse Ue nel cercare di definire un quadro di sicurezza paneuropea, che tenga conto anche delle legittime esigenze di sicurezza della Russia, in modo da disinnescarne la minaccia potenziale, come era stato fatto ad Helsinki nel 1975, in piena guerra fredda, e come Putin ha invocato in più occasioni?

Può darsi che quello di Putin fosse un bluff, ma andarlo a vedere sarebbe certamente meno costoso e meno rischioso di un’Ue armata fino ai denti, con il messaggio ostile che tale riarmo invia, molto esplicitamente, alla Russia. Ma ormai, duole constatarlo, l’Ue sembra diventata incapace di parlare di pace, di pensare la sicurezza attraverso la cooperazione invece che la forza – che poi tale non è come abbiamo visto.

Tagli al bilancio sociale

In secondo luogo, gli 800 miliardi che saranno spesi in armi, pur in gran parte a debito, sono risorse sottratte a bisogni che i popoli europei, dopo 80 anni di pace, considerano (a torto o a ragione, e secondo me a ragione), prioritari rispetto alle armi: un sistema sanitario decente, l’educazione per i propri figli, e tutti gli altri aspetti del welfare europeo che, ammettono candidamente governanti Ue e Uk, pagheranno il conto del riarmo.

Il rischio è un ulteriore impoverimento delle popolazioni, e un acuirsi della sensazione, già diffusa, che i governi nazionali non perseguano e non abbiamo in realtà intenzione di perseguire l’interesse dei cittadini comuni. Con il rischio che alle prossime tornate elettorali, ReArm Europe si traduca in un enorme regalo alle destre più populiste, oggi non (ancora) al potere nella maggioranza degli stati Ue.

La sospensione del patto di stabilità per le armi, e solo per esse, veicola in effetti un messaggio devastante: per la salute, l’istruzione ecc. – cioè per i bisogni quotidiani dei  cittadini – come pure per la politica industriale in campo civile, per le energie verdi, per la ricerca, ecc. i soldi non ci sono, ma per le armi vale tutto.

Gli effetti di un riarmo diseguale tra gli stati

In terzo luogo, il riarmo su scala nazionale, e non europea, avrà come effetto di aumentare le disuguaglianze tra gli stati membri. I Paesi già oggi più indebitati, come l’Italia, spenderanno in proporzione, giocoforza, meno, mentre la Germania – che ha un’enorme capacità fiscale – ha già fatto approvare in parlamento, ancor prima dell’insediamento del nuovo governo (i negoziati per formare una coalizione sono in corso), un maxipiano di rilancio e riarmo del Paese, con una dotazione di 50-150 miliardi all’anno per il riarmo.

L’ultradestra tedesca di Alternative für Deutschland (Adf) ha votato contro il maxipiano. Ma se, continuando la sua irresistibile ascesa, dovesse tra cinque o dieci anni andare al governo, siamo sicuri che sarà stato un buon investimento spendere centinaia di miliardi in armi che saranno a disposizione di un partito neonazista?

Che non significa soltanto che Adf gestirebbe l’apparato militare tedesco; ma anche che, dato che questo apparato sarà di gran lunga il più ingente tra i 27, gestirebbe la leadership tedesca in Europa nel campo della difesa. O di una nuova guerra.

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