La cultura economica alle origini dell’Europa/2

Pubblichiamo la seconda parte dell'intervista all'economista e docente dell'Università di Firenze, Antonio Magliulo.
Festa Europa foto Archivio Ansa EPA/PAULO NOVAIS

Antonio Magliulo (1962) è professore ordinario di Storia del pensiero economico presso il Dipartimento di Scienze per l’economia e l’impresa dell’Università di Firenze. Alcuni suoi articoli di carattere divulgativo sono disponibili online sul sito della rivista Il pensiero storico. In linea con il suo campo di lavoro, centrato sulla storia del pensiero economico europeo, Città Nuova ha voluto approfondire la materia con il docente nell’ambito della rubrica “Ripensare il pensiero alla luce del paradigma della complessità per rigenerare la politica”. Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista che ha concesso a Città Nuova (leggi qui la prima parte)

Oggi abbiamo capito che con Putin e Trump l’Europa rischia di implodere. Come scongiurare questo pericolo e il paradigma della complessità, a suo giudizio, può servire per comprendere come ristabilire un nuovo e più giusto ordine mondiale?

Oggi l’Europa si trova di fronte alla grande sfida di conciliare l’allargamento (ad altri Paesi) e l’approfondimento o rafforzamento (della governance). La promessa, e la speranza, dei padri fondatori era che al termine del processo di integrazione economica vi sarebbe stata l’Unione politica su base federale. Oggi è irrealistico pensare di poter avere una vera Unione federale, sia pure sussidiaria e cioè valorizzatrice degli Stati nazionali, tra 27 o 33 Paesi. Occorre andare nella direzione di un’integrazione differenziata e rafforzata: oltre al mercato unico e all’Eurozona, che al momento è condivisa da 20 Paesi, alcuni dovrebbero trovare la forza per dar vita ad una vera Unione fiscale e politica, sviluppando anche una comune politica estera e di difesa e sempre in armonia con gli altri partner. Il punto è che senza un collante ideale e culturale non sarà possibile neppure restare nel mercato unico, come dimostra l’esperienza della Brexit.

La lezione di Morin e Ceruti è utile per capire anche quanto sta accadendo a livello internazionale. A partire dagli anni Sessanta è iniziato, o ha subito un’accelerazione, il processo di disaccoppiamento tra lo spazio economico, sempre più globalizzato, e lo spazio politico, ancora frammentato in Stati nazionali. Si è posto quindi il problema di come governare la globalizzazione economica. In Europa la globalizzazione ha assunto la forma dell’integrazione economica e cioè di un mercato sempre più simile a quello nazionale, con la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali. Nel mondo ha invece assunto la forma dell’interdipendenza e cioè della crescente e reciproca dipendenza tra le diverse economie nazionali. In Europa si è tentato, senza esserci ancora riusciti, di risolvere il problema della governance allargando lo spazio politico fino a farlo coincidere con quello economico con la creazione di un governo sovranazionale. La gestione dell’interdipendenza è risultata ancora più difficile data l’impossibilità di immaginare una federazione mondiale. Ma l’interdipendenza esiste, è reale e, in fondo, è un’altra manifestazione della complessità di Morin e Ceruti nel senso che sta a significare che oggi le economie nazionali sono intrecciate, tessute assieme, inter-dipendenti.

Il primo economista che ha affrontato, in modo sistematico, questo tema è stato Richard N. Cooper (1934-2020), economista di Yale, giovane consigliere dell’Amministrazione Kennedy e autore nel 1968 del volume The economics of interdependence. In un recente lavoro ho provato a ricostruire il suo originale contributo. L’idea di fondo è che la crescente interdipendenza riduce l’efficacia delle politiche economiche nazionali e rende necessaria una maggiore cooperazione internazionale, tra governi e istituzioni sovranazionali. In pratica, o si riduce l’interdipendenza economica, e quindi si perdono i benefici di una divisione internazionale del lavoro, o si accresce la cooperazione internazionale. Negli ultimi decenni si era battuta la seconda via. Trump ha riaperto la prima, a colpi di dazi e minacce. Ci ha riportato nel XVI e XVII secolo quando i mercantilisti pensavano che il commercio internazionale fosse un gioco a somma zero, in cui chi vince lo fa a spese di altri, mentre tutta la storia dell’economia ha mostrato il contrario e cioè che il commercio internazionale, se adeguatamente governato, può essere un gioco a somma positiva in cui tutti traggono un beneficio. Il campione del mercantilismo, Colbert, finì, suo malgrado, per danneggiare l’economia dell’amata Francia e le successive, mancate, riforme dei fisiocrati prepararono la rivoluzione francese.

Speriamo che la storia non si ripeta e che sia possibile riprendere la via della cooperazione internazionale, innanzitutto tra europei e americani.

Nel suo libro L’insegnamento economico e sociale della Chiesa, scritto con Piero Barucci, lei spiega oltre un secolo di encicliche sociali. Quali elementi  di pensiero complesso trova in Papa Francesco?

Molti. Basti pensare a frasi che sono ormai diventate familiari: “tutto è connesso” e “nessuno si salva da solo”. Nella Fratelli tutti, un’enciclica che andrebbe riletta subito, il Papa sollecita la costruzione di una comunità mondiale. L’amore all’altro, che la Chiesa chiama caritas, non può essere infatti relegato tra le mura domestiche o nella ristretta cerchia degli amici ma, se è autentico, abbatte ogni barriera e si estende fino agli estremi confini del mondo.

La Settimana sociale dei cattolici a Trieste, con Papa Bergoglio e Mattarella, ha messo a nudo la crisi della democrazia e l’urgenza del ritorno alla piena partecipazione politica dei cattolici in Italia. Quali novità intravvede?

La prima grande novità è stata proprio la partecipazione. A Trieste erano presenti più di mille delegati, molti dei quali giovani, che hanno praticato oltre che difeso la democrazia.

Io guardo con interesse e simpatia a quanto è nato a Trieste perché mi pare che quel desiderio di partecipazione si stia sviluppando, assumendo forme diverse, dalla rete degli amministratori locali alla creazione di comunità energetiche. La stessa esperienza del cosiddetto Piano B, che coinvolge uomini e donne della società civile, mi pare che vada nella stessa direzione, anche se personalmente continuo a pensare che “per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” esista, per citare l’articolo 49 della Costituzione, uno strumento appropriato: “associarsi liberamente in partiti”. La mia speranza è che possa nascere un partito, non dei cattolici o di cattolici, ma autenticamente democratico e di ispirazione cristiana che possa concorrere alla vita politica nazionale ed europea.

Dopo il Convegno dell’11 ottobre scorso a Firenze, abbiamo avviato un gruppo di lavoro, da lei coordinato insieme a Paolo Magnolfi (Presidente dell’Associazione Nuova Camaldoli), verso una Calmandoli europea, suggerita dal Cardinal Zuppi. Può dirci quali sono gli obiettivi, il metodo, i soggetti coinvolti nella preparazione del Convegno a Calmandoli?

Abbiamo deciso di rispondere all’invito del Cardinal Zuppi il quale, più volte, ha sollecitato e auspicato una nuova Camaldoli affinché, come accadde nell’agonizzante Italia del luglio 1943, qualcuno contribuisca a ri-animare l’Europa.

Abbiamo chiesto un appuntamento e siamo stati ricevuti. La nostra preoccupazione era di non intralciare altri progetti in corso o programmati. Siamo stati accolti in modo paterno o fraterno, non saprei dire. Non abbiamo chiesto né ricevuto imprimatur o divieti. Il cardinale si è raccomandato di una sola cosa: siate aperti, pronti al dialogo con tutti, laici e cattolici.

Abbiamo quindi immaginato un processo partecipativo articolato in quattro fasi. L’obiettivo è approvare entro l’estate un documento, il Manifesto di Camaldoli, da condividere poi col maggior numero di persone.

Ad oggi hanno aderito circa 60 persone, tra docenti universitari e delegati di associazioni e movimenti della società civile, ma la porta resta aperta, anzi spalancata.

Ci tengo a precisare che a noi interessa contribuire ad avviare un processo, non certo ad occupare spazi e siamo pronti a collaborare con tutti, come a farci da parte.

Vorrei anche dire che proprio oggi, 18 marzo 2025, mentre rispondo a questa domanda, è stata pubblicata la lettera con cui il Papa invita tutti a “disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra”. E ha aggiunto: “C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità”. Di nuovo, la complessità.

È un invito che desideriamo raccogliere.

Chi fosse interessato alla nostra iniziativa può consultare il sito dell’Associazione Nuova Camaldoli:

https://www.associazionenuovacamaldoli.it/

 

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