Argentina: catastrofe e solidarietà a Bahía Blanca

Bahía Blanca, uno dei principali porti dell’Argentina, è situata a 640 km a sud-ovest di Buenos Aires e conta più di 330 mila abitanti. Molti i discendenti di immigrati italiani, irlandesi, inglesi, spagnoli e tedeschi. Anche francesi e mediorientali.
Quello che segue è il racconto agli amici di una persona di Bahía Blanca che vive attualmente in un’altra città. Appena è stato possibile, dopo il disastro, è tornata per valutare i danni alla casa e all’azienda di famiglia.
«Cari amici, vi scrivo a meno di 48 ore dopo il mio arrivo a Bahía e prima di perdere il mio “status di rifugiato” a casa di mia sorella, soggiorno che mi sto godendo nonostante la situazione. Fino a un paio d’ore fa il nostro appartamento non aveva né acqua né elettricità. Il servizio è stato ripristinato e ci auguriamo che i serbatoi dell’acqua vengano riempiti così da poter tornare alla normalità.
Approfitto di un momento di tranquillità per rispondere collettivamente ai numerosi messaggi che ho ricevuto, ai quali ho risposto brevemente per preservare la carica del cellulare.
Vorrei mostrarvi ciò che non vedete in TV o sui social media. Tutti hanno visto le immagini; i notiziari e i social media sono alla ricerca delle immagini più scioccanti, come sempre. Ma voglio raccontarvi l’altra parte.
Nel mio quartiere, e in molti altri, incontri ovunque persone camminare per strada con un secchio, uno strizzatore e dei guanti. E ovunque ci sia qualcuno che pulisce una casa o un’azienda, c’è un numero enorme di ragazzi che si offrono volontari per aiutare gli anziani che non riescono a gestire la propria anima, figuriamoci il fango.
Il prezzo delle candele e dell’acqua non è però aumentato. Non puoi noleggiare una pompa per svuotare la cantina o pagare qualcuno per controllare il frigorifero, prima di collegarlo alla presa per vedere se funziona, perché nessuno vuole farsi pagare niente. Si tratta semplicemente di aiutare. Ci sono scout, vigili del fuoco, studenti universitari, Caritas e molti altri che si dedicano all’organizzazione degli aiuti.
I dipendenti della nostra azienda familiare non vogliono essere pagati per le numerose ore di straordinario dedicate a distribuire aiuti, pulire bagni, spalare fango, ecc. Molti dei miei amici cucinano per preparare pasti in quartieri di cui non sapevano neppure l’esistenza. E sono profondamente orgoglioso di tutti loro.
Quanto vi racconto ha lo scopo di farvi sapere che qui le persone aiutano le persone. Lo Stato ha fatto alcune cose. L’Esercito ha costruito ponti e la Gendarmeria sorveglia i quartieri in cui la gente ha paura di uscire di casa per timore di saccheggi. La Protezione Civile si occupa delle molte situazioni difficili. Fin qui tutto bene.
Non sorprende affatto, però, che siano pochissime le persone che effettuano donazioni al Comune o al sito “Todos x Bahía” allestito dalla Città. Qui i modelli di serietà sono gli atleti famosi. Le donazioni vengono fatte al Liniers di Lautaro Martinez, al Dow Center Bahía basket di Pepe Sanchez, cestista della generazione d’oro che ha vinto ad Atene [Olimpiadi 2004], e a Franco Colapinto (pilota di F1; suo padre si è trasferito a Pilar, ma è originario di Bahía), che gestisce anche un’assistenza personalizzata.
È incredibile ciò che abbiamo raggiunto in termini di credibilità dei politici: è vicina allo zero. Gli aiuti inviati con il Treno della Solidarietà stanno arrivando per iniziativa dei giovani: molti di loro hanno marciato verso la campagna, diversi chilometri fuori Bahía, per recuperare gli aiuti, perché i binari erano stati divelti dall’acqua e il treno non è mai arrivato in città. Poi sono andati a smistare le donazioni e a consegnarle dove servivano. La distribuzione è migliorata ricorrendo alle app gestite dagli studenti universitari.
Ci saranno coperte, acqua e scarpe extra per tutti, perché ne sono arrivate tantissime. Se qualcuno volesse aiutarmi in qualsiasi momento, me lo faccia sapere. Perché stiamo lavorando con gruppi di amici per creare “un’assistenza del giorno dopo” per coloro che non sono abbastanza poveri da ricevere sussidi statali, né stanno abbastanza bene per comprarsi da soli ciò che serve. Quelli della classe media operaia sono generalmente esclusi e si vergognano di chiedere, ma restano spesso senza tavolo e sedie, o senza piatti e posate.
Ma lo scopo di questo messaggio non è chiedere. Ne parleremo con gli interessati quando tornerò.
Il mio obiettivo è dirvi che, in mezzo alla catastrofe di un nubifragio di questa portata, ciò che risplende di più è la solidarietà. Empatia: guardare l’altro che sta peggio.
Vi dico questo perché se circostanze come queste riescono a far emergere nelle persone così tanto bene, penso che abbiamo una speranza di futuro. Mi ha reso molto felice vedere queste cose e ho voluto condividerle con voi».