Bruxelles e la democrazia sovranazionale

Il senso di appartenenza alla Comunità Europea è ancora un processo incompiuto eppure è diventata un soggetto istituzionale nel tempo abbastanza forte da alimentare ragioni e manovre esterne per indebolirlo
La banda del Manneken Pis suona l'inno d'Europa mentre la famosa statua in bronzo, detta anche Manneken Peace, indossa un costume europeo per celebrare la Giornata dell'Europa a Bruxelles, Belgio, il 9 maggio 2024 Ansa EPA/OLIVIER MATTHYS

Partiti da Atene, alla ricerca delle radici, ecco giunta l’ultima tappa del viaggio nei luoghi della democrazia, Bruxelles.

È lì che il giovane esperimento democratico che si chiama Unione Europea sta vivendo uno dei momenti cruciali della propria esistenza, messa sotto pressione dalla turbolenza da eventi che mutano repentinamente un ordine internazionale durato settant’anni.

L’Unione Europea rappresenta il primo caso nella storia di una costruzione politica dal basso, per libera scelta delle nazioni. Iniziando dalla condivisione di risorse economiche nel dopoguerra – carbone e acciaio – i Paesi europei hanno gradualmente trasferito poteri alla nuova costruzione, incrementando al contempo il numero di partecipanti.

Il suo motto “Unita nella diversità” – scelto nel duemila su proposta degli studenti dei Paesi membri – ben sintetizza una realtà di oltre 400 milioni di cittadini dei 27 Paesi, simili ma anche profondamente eterogenei sul piano linguistico, storico, culturale ed etnico.

Questi aspetti ben esprimono la sfida enorme della democrazia sovranazionale europea, tutt’ora un cantiere aperto, chiamata oggi ad affrontare alcune questioni rilevanti.

La prima riguarda il necessario processo di costruzione di un “popolo europeo”, fondamento essenziale e sostanziale per progredire nell’integrazione.  Se tanta parte delle nuove generazioni – a partire da quelle che hanno partecipato ai progetti di interscambio Erasmus – lo danno come dato acquisito, se quelle appena precedenti ne hanno vissuto l’attesa e l’avvio -talora quasi come una conquista -, per molti altri il senso di appartenenza alla Comunità Europea è ancora un processo incompiuto, sfidato da pulsioni nazionalistiche e regionalistiche, dal primato di un’identità nazionale su quella sovranazionale. La Brexit e la crescita di forze politiche anti-europee – o comunque con un atteggiamento ambiguo – ne sono il chiaro segnale.

Un’altra questione tocca l’incompletezza della costruzione, sia per le deleghe di potere degli stati membri che per il suo sistema di governo. Esemplificando una sola questione economica, basti pensare all’assenza di una comune fiscalità europea che pone i Paesi membri in competizione reciproca per attrarre imprese e conseguente creazione di posti di lavoro: come non ricordare la querelle sull’auto italiana fabbricata in Polonia?

Anche l’emissione di titoli di debito pubblico europeo (i cd Eurobond), garantiti dalla Banca Centrale Europea, non trova applicazione per la resistenza (che poi vuol dire mancanza di fiducia) di alcuni Paesi, Germania in testa.

Se poi ci si sposta su temi come difesa e politica estera – di stringente attualità –  il cammino appare ulteriormente accidentato, intrecciato con il sistema di governo europeo tuttora ostaggio della regola dell’unanimità, che dà un potere di veto enorme ai singoli stati e infragilisce pesantemente l’efficacia decisionale.

Un ulteriore elemento di valutazione va a considerare le caratteristiche dei Paesi membri, ovvero il peso economico e demografico, il posizionamento geopolitico e il grado di effettiva sovranità.

Infatti, l’Unione Europea contiene al proprio interno almeno quattro tipologie di Paesi. La prima è costituita dalla Francia, paese grande economicamente e demograficamente, che può contare su un arsenale atomico e su un seggio permanente al consiglio di sicurezza dell’ONU.

Il secondo gruppo riguarda Germania e Italia, grandi Paesi usciti sconfitti dalla Seconda Guerra mondiale, con rilevanti basi militari americane (50.000 soldati in Germania, 15.000 in Italia) e conseguente “condizionamento” strategico nelle importanti scelte nazionali e sovranazionali.

Il terzo gruppo aggrega gli altri Paesi dell’Europa Occidentale, che hanno dimensioni e peso economico molto vari – dalla Spagna al Lussemburgo-.

Infine l’ultimo gruppo contiene tutti i Paesi membri dell’ex blocco comunista.

Come si può facilmente dedurre la democrazia sovranazionale europea ha dovuto fare i conti, e li sta facendo tutt’ora, con le diverse storie, aree di influenza e posture dei Paesi membri tra loro e con le grandi potenze mondiali.

Eppure, l’Europa pur nella sua incompiutezza, è diventata un soggetto istituzionale nel tempo abbastanza forte da alimentare ragioni e manovre esterne per indebolirlo, ora con l’atteggiamento prudente da parte dell’alleato americano, ora  finanziando le forze politiche anti-europee e utilizzando metodi di propaganda negativa più o meno palesi.

D’altro canto l’Unione Europea ha il terzo PIL del mondo  – oltre 18.000 miliardi-, si distanzia di poco dalla Cina –  19.000 miliardi – e si confronta con quello con gli USA – 30.000 miliardi-. Terzo posto con oltre 400 milioni anche come popolazione dietro a Cina –  1 miliardo e 400 milioni – e India, ma superiore agli Stati Uniti –  346 milioni di abitanti.

Ora, si tratta di verificare se questa costruzione democratica, che ha saputo estendere diritti fondamentali e trasformare un stato guerriero (warfare) in un stato assistenziale (welfare) – usando le parole dello statista inglese Clement Atlee – saprà evolvere per continuare il proprio percorso e assicurare il suo specifico contributo nello scacchiere internazionale.

Un contributo più prezioso  e attuale che mai, in questo tempo: l’Unione Europea è nata per la pace,  e ha garantito il più lungo periodo senza guerre nella storia. La sua costruzione è frutto di un grande sforzo di immaginazione e di fiducia dei suoi fondatori, non dissimile da quello degli ateniesi secoli prima.

Non ci si può che augurare, allora, con le parole dell’autore che ha accompagnato questo viaggio, Yves Meny, che la democrazia prosegua il suo percorso: «la ricerca della democrazia, di una democrazia più vicina al suo ideale, non può fermarsi, anche se si rivela inscindibile dall’abisso inevitabile che separa le aspirazioni dalle loro realizzazioni, approssimative e imperfette».

 

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