Caravaggio, è qui!

Volete veramente conoscere o meglio incontrare Caravaggio, una volta per tutte, dimenticando gli slogan di “pittore maledetto”, le fiction, le pubblicità inutili, e passare tempo senza scattare foto per parlare con un Genio? Ecco, l’occasione è questa.
All’ingresso, si potrebbe svenire: Caravaggio è dappertutto. Se una sola opera sua basta a farci sussultare, osservarne per quattro sale ben 24 da tutto il mondo è perché lui non ti lascia tranquillo, ti attira, ti coinvolge, soffre, grida, vive: e vuole te, non da spettatore superficiale e frettoloso, ma da uno che si lascia catturare nell’anima. Perché lui per primo ti dà la sua.
È bello allora lasciarsi sopraffare e poi lentamente poter scoprire chi sia davvero lui, il lombardo conteso tra papi cardinali nobili, il fuggiasco tra Roma, Napoli, Malta e la Sicilia, dove lascia capolavori che faranno scuola all’Europa – cioè, al mondo -, e l’artista di una religione popolare, intima, “misericordiosa” sconvolgente e attualissima.
Cominciamo dall’ultima opera, pochi giorni prima, nel 1610, di salpare da Napoli per Roma dove lo attende la grazia papale, che non godrà mai, perché morirà lungo la spiaggia laziale. È il Martirio di sant’Orsola: buio, lamine biancastre e rossastre, il carnefice orrendo che una mano cerca invano di fermare, due figure appena rivelate dal recente restauro, lui – Caravaggio – che alza il mento per vedere e la santa: apre la bocca, un gemito, la sorpresa della freccia in petto, il sangue che sprizza. La morte giunge sempre inattesa fra tinte brunite, armature lucide, sospensioni. E due flebili raggi di luce in alto: la speranza. Capolavoro assoluto.
Ecco il san Giovanni Battista da Kansas City, ragazzo selvatico, permaloso, imbronciato alle soglie del bosco con cui confonde i capelli arruffati. Luce nel volto e nel petto, immenso il manto rosso, l’ombra acuta. Che dirà appena si sarà alzato? Rimproveri, minacce, ire? Intanto, splende di giovinezza e di fuoco interiore.
Ecco la Cattura di Cristo, da Dublino: un notturno drammatico fra armature traslucide, un apostolo in fuga, il pittore che alza la lanterna a vedere la scena – la verità? -, e il Cristo dolente, mite, avvolto nel gran manto di Giuda che lo stringe e lo bacia- amore o dispetto? -. Vita reale, di notte, un agguato come tanti, Gesù dolce fra i barbagli luminosi e il buio pesto. Caravaggio è l’artista della Passione fin dal 1600 – anno giubilare come il 2025 – quando ha dipinto le storie di san Matteo, dopo il quale scandaglierà le scene del Messia doloroso. Come la sublime Flagellazione da Napoli, straziante e sorda, e l’Ecce Homo da Madrid, appena ritrovato, cuore della rassegna.
Il volto dolcissimo dell’uomo torturato, la cascata di spine che gli si conficca in fronte, il sangue che scivola e i due ritratti che lo indicano -il bruto e Pilato – offrono un lamento pacato che suscita ”misericordia” nell’osservatore davanti allo strazio innocente e insieme la pace di una pittura per una volta calma, vicina.
Caravaggio vede tutto e ce lo mostra: il Ragazzo che sbuccia un frutto – da Carlo III d’Inghilterra -i due ritratti di monsignor Barberini, futuro papa Urbano VIII, la santa Caterina immensa e bionda, i due Bari, l’ultimo san Giovannino accasciato, il David e Golia con il suo spietato autoritratto, la sera placida dell’estasi di san Francesco, la meravigliosa “divinamente semplice” Cena in Emmaus da Milano, Marta e la Maddalena in colloquio, il Concerto musicale di giovani.
Non sono solo corpi, ma anime, non solo volti ma voci, luci e ombre, musiche e dolori che Caravaggio vive con noi, senza fretta. E’ il mondo, allora come ora, è l’umanità vera. A noi scoprirlo.