Tra due palazzi con Nagib Mahfuz

Il 30 agosto 2006, a 94 anni, concludeva la sua lunga e operosa esistenza Naghib Mahfuz, primo e finora unico autore di cultura e lingua araba insignito del Premio Nobel (1988). Con lui la gente del popolo, i poveri e i diseredati dei quartieri periferici del Cairo perdevano il loro cantore, colui che col linguaggio universale dell’arte aveva saputo trasfigurare la quotidianità, le sofferenze e i tentativi di riscatto di quelli che non contano. Uomo di pace e nemico dell’intolleranza, duramente critico verso corruzione e potere, Mahfuz era riuscito sempre ad evolversi nello stile e nel genere narrativo, vero “inventore” del romanzo arabo e riferimento imprescindibile per tutti gli scrittori in questa lingua, dal Marocco all’Iraq.
Suo capolavoro indiscusso: l’irresistibile, toccante e divertente Trilogia del Cairo che gli ha meritato il Nobel, ora in corso di ripubblicazione in italiano per i tipi di Crocetti (al primo volume uscito nel 2024, Tra i due palazzi, seguiranno Il palazzo del desiderio e La via dello zucchero). Ritratto di un microcosmo sconosciuto a noi occidentali e al tempo stesso saga di una famiglia della piccola borghesia commerciale cairota, seguita dai primi anni del Novecento al golpe militare che nel 1952 rovesciò il governo di Re Faruk e portò al potere Gamal Abd el-Nasser, i tre volumi ripercorrono tre generazioni della famiglia del sayyed Ahmad Abd el-Gawwad, il tirannico patriarca padrone di un bazar che governa i suoi con mano severa mentre vive una vita segreta di autoindulgenza. Gli altri personaggi Ahmad sono la moglie del patriarca, l’oppressa e gentile Amina, le figlie Aisha e Khadiga, sempre chiuse in casa, e i tre figli maschi: il tragico e idealista Fahmi, il dissoluto edonista Yasin e l’intellettuale Kamal. Gli intrighi e i problemi della famiglia rispecchiano quelli del turbolento Egitto durante gli anni tra le due guerre mondiali, mentre arriva il cambiamento in una società che ha resistito identica a sé stessa per secoli.

Mahfuz interrompe la sua attività di romanziere proprio in quel 1952, l’anno del golpe: una forma di protesta per la mancata soluzione, da parte dei nuovi leader al potere, dei problemi del popolo minuto. Riprende a scrivere nel 1959, ma con mezzi espressivi diversi: abbandonato il realismo della trilogia, dà più spazio all’introspezione, approdando al simbolismo: inaugura questa nuova fase Il rione dei ragazzi. La successiva produzione comprende altri intensi e poetici romanzi, sempre più caratterizzati da un afflato religioso e dalla ripresa dei suoi temi prediletti: i valori della famiglia e della giustizia, l’eterna lotta tra bene e male. Ormai famoso anche all’estero grazie al Premio Nobel, lo scrittore sopravvive nel 1994 ad un attentato da parte di un fondamentalista islamico.
Fino all’ultimo semplice e modesto, malgrado gli incarichi ricoperti in patria – e non solo – nel campo dei beni culturali, del cinema e della letteratura, questo “esploratore dell’anima” la cui figura evoca i grandi saggi dell’Oriente, divenuto quasi cieco e sordo, detta per quotidiani e riviste brevi storie e riflessioni (scrivere, per lui, è sempre stata una necessità vitale, una “fidanzata eternamente giovane”). Da tempo invece ha dovuto rinunciare alla grande letteratura. Ci ha lasciato però – insieme a saggi, racconti, testi teatrali ed un numero sterminato di articoli – una sessantina di romanzi che rispecchiano le vicende spesso travagliate del suo Paese e, di riflesso, quelle di tutto il mondo arabo.
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