Ricordando Fulco Pratesi, da cacciatore a padre del WWF

La lunga e feconda esistenza di uno dei padri dell’ambientalismo italiano a partire da una scelta di vita, radicale e profonda, che ha dato molti frutti. La forte sintonia con papa Francesco. Il ricordo personale di una preziosa amicizia
Fulco Pratesi in un'oasi del Wwf Italia. Foto Ansa

Conoscere, amare, impegnarsi. Questi tre verbi rappresentano la vita di Fulco Pratesi, uno dei “padri” dell’ambientalismo italiano, fondatore e per decenni presidente del Wwf Italia, morto a 90 anni lo scorso 1 marzo. Grande divulgatore, il conoscere appunto, con articoli e rubriche su grandi testate, dal Corriere della sera all’Espresso, tanti libri e tantissime illustrazioni, i suoi famosissimi disegni ad acquarello.

Perché solo conoscendo la natura, l’ambiente, i suoi abitanti, le sue leggi, è possibile amarla. Come faceva lui, prima in modo “distorto” da cacciatore, pur se immerso nella natura. Fino al 1963, quando nelle foreste dell’Anatolia, in Turchia, dove si era recato a caccia, incrociò un’orsa coi suoi tre piccoli. Quegli occhi, quell’immagine di vita, fu la spinta a una totale conversione. “Stavo facendo una follia, ma lo ho capito e mi sono fermato”.
Come ha raccontato migliaia di volte, non fu solo un “no” alla caccia, a sparare, a uccidere, ma fu una scelta “per”. Amare quella natura, tutta la natura, per poi impegnarsi per difenderla.

Così non solo vendette il fucile, ma si comprò una macchina fotografica. Ma non bastava. In quello stesso 1963 era nato in Svizzera il World Wildlife fund, poi per tutti Wwf. Erano i primi passi dell’ambientalismo. L’anno prima in Usa era stato pubblicato il libro Primavera silenziosa di Rachel Carson sui danni irreversibili del Ddt e dei fitofarmaci in genere sia sull’ambiente che sugli esseri umani, ritenuto una sorta di manifesto antesignano del movimento ambientalista. Sembrava un vezzo di ricchi e nobili.

E, infatti, tra i fondatori del Wwf ci furono il principe Filippo di Edimburgo e il principe Bernardo d’Olanda. Anche Fulco veniva da una famiglia benestante e infatti la natura la incontrò la prima volta quando, sfollato da Roma durante la guerra, si rifugiò in campagna, nel Viterbese, dove la famiglia aveva una tenuta.
Architetto, ma praticante per poco tempo, dopo la “conversione” decise di dedicare la sua vita alla difesa e promozione dell’ambiente. Abbracciando quel Panda, simbolo del Wwf.

Così contattò l’associazione in Svizzera per far nascere la sezione italiana. “Ma dovrà trovare lei i soldi necessari al progetto”, fu la risposta. Con la famiglia, e già 4 figli, non era facile. Riuniti alcuni amici illuminati nel suo studio di architetto, nacque nel 1966 il Wwf Italia, “il mio quinto figlio”, ripeteva sempre, con pochi soldi e tanto entusiasmo. Lo stesso che ha avuto fino agli ultimi giorni della sua vita. Era un piacere andare con lui a immergersi nella natura.

Giacca di velluto o trapuntata, rigorosamente verde o marrone, così come i pantaloni, scarpe comode o stivaloni, binocolo al collo e la bisaccia con all’interno dei piccoli album da disegno e gli acquarelli. Più che le foto, erano proprio i disegni che gli permettevano di raccontare la natura che tanto amava e che voleva far conoscere. Disegni a volte più precisi di una fotografia, a volte con alcune simpatiche libertà. Erano il suo modo di divulgare, richiestissimi e ben pagati, ma lui ne faceva spesso dono agli amici, come il bellissimo e coloratissimo fagiano che accoglie chi entra a casa mia. Dietro, la dedica sua e della moglie Fabrizia.

È il regalo, graditissimo, che Fulco fece a me e Romana in occasione del nostro matrimonio, quando venne con Fabrizia, “il mio unico amore”, diceva, che lo ha preceduto in Cielo pochi mesi prima, dopo 70 anni di vita insieme. Ma anche di passioni comuni. Quante volte li ho incontrati nella natura o a iniziative del Wwf.

L’ultima fu a Roma, sulla terrazza del Pincio, quando mi invitarono a parlare dell’enciclica Laudato si’, legandola alla natura della bellissima Villa Borghese. Sia Fulco che Fabrizia erano entusiasti di papa Francesco, soprattutto perché vedevano finalmente accettate e promosse tante battaglie per le quali erano stati incompresi e spesso osteggiati anche da parte della Chiesa. Era la concretezza del papa, quel suo chiedere a ognuno gesti concreti, nuovi stili di vita, a piacere alla coppia del panda. Così come Fulco ha fatto in tutta la sua vita. Come le sue raccomandazioni, citatissime, su come risparmiare acqua, dal non fare la doccia a tirare poche volte lo sciacquone, come faceva lui, che a lungo ha usato solo la bicicletta per spostarsi.

Stili di vita e comportamenti “per” la natura. Ma non solo. Perché la natura andava difesa, ma non messa sotto una cappa di vetro. Tutelata per essere conosciuta, vissuta, apprezzata. Nacque così il progetto delle oasi. La prima azione del neonato Wwf Italia fu quella di acquisire i diritti di caccia della laguna di Burano, dando il via alla nascita della prima Oasi di protezione, un “modello”, che contraddistingue il Wwf Italia dagli altri Wwf nel mondo. Si partì con una zona umida, paludosa, territorio un tempo considerato solo da bonificare, inutile o dannoso per la malaria.

Invece con Fulco e col Wwf le zone umide diventano aree da tutelare, perché costituiscono una ricchezza di biodiversità, non solo per il Paese, ma per l’intero globo, zone di migrazione o di nidificazione di tante specie di uccelli, zone dove acque e terra raccontano e producono. Fulco le raccontò in uno dei suoi primi libri, splendidamente illustrati, “I Cavalieri della Grande Laguna”, in cui raccontava di un uccello fino ad allora poco conosciuto, il cavaliere d’Italia, esile trampoliere bianco e nero, dal lungo becco e dalle zampe rosse. E tramite lui raccontare la bellezza delle zone umide, delle paludi.

Oggi le aree gestite o di proprietà del Wwf, sono oltre 100 e proteggono circa 27mila ettari di natura. Il frutto di vere e proprie imprese come quando, nel 1985, l’Associazione raccolse oltre 600 milioni di lire per l’acquisto dell’area di Monte Arcosu in Sardegna, con l’obiettivo di salvare il cervo sardo dal bracconaggio e dall’estinzione. Ma non era una privatizzazione, pur a fin di bene, della natura.

Fondamentale fu anche il suo contributo alla nascita del sistema dei Parchi nazionali, attraverso studi, piani e la spinta all’approvazione della legge quadro sulle aree protette del 1991. Parchi che allora erano meno di dieci e oggi sono 25. Natura da proteggere, importante, veri simboli spettacolari. Ma per Fulco c’era anche la natura sotto casa, quella di tutti i giorni, da conoscere e valorizzare.

La fece conoscere in un altro bellissimo libro, “Clandestini in città”, in cui raccontava gli animali e le piante cittadini, spesso inaspettati, cominciando dalla sua città, Roma, col volo e la caccia del falco pellegrino, il canto del passero solitario, proprio quello di Giacomo Leopardi, o ancora i capperi che crescono sulle mura romane come sulle scogliere di Pantelleria. Un racconto che ancora una volta era un invito a conoscere, a guardarsi intorno con curiosità, per poi attivarsi. Lui non ha mai smesso di farlo, fino all’ultimo sostenendo le “buone battaglie” di associazioni e movimenti.

Ricordo bene quando assieme a un altro dei “padri” dell’ambientalismo, Antonio Cederna, fu al fianco di noi giovani del Comitato per il Parco della Caffarella (ne abbiamo scritto su queste pagine di Città Nuova), sostenendo, denunciando, con una presenza attiva fondamentale.

Un attivismo che provò a portare anche dentro le istituzioni, accettando la candidatura coi Verdi al Parlamento. Ci rimase dal 1992 al 1994, impegnandosi soprattutto contro la caccia e la pesca distruttiva, a in difesa del mare e dei suoi abitanti. Ma poi se ne andò. «È stato il mio errore più grande. Non è il mio mestiere, voglio fare altro».

Come “ballare coi lupi”, promuovendo l’“Operazione San Francesco” per la salvezza del lupo, allora sull’orlo dell’estinzione. Oppure come presidente del Parco nazionale d’Abruzzo, proprio il territorio dal quale è partito il salvataggio dei lupi.

Oppure spingendo alla “conversione” altri che come lui usavano la doppietta, come Gigi Calchetti, bracconiere di palude (“Sparavo a tutto”, ci ha raccontato), diventato grazie a Fulco (“L’architetto”, lo ha sempre chiamato) la guardia dell’oasi di Orbetello. «Mi ha dato fiducia, mi ha dato un pezzo di terra, e ne ho fatto un orto meraviglioso». Sempre positivo Fulco Pratesi, che concretizzava la speranza nel cambiamento, costruendo con pacatezza, intransigente nel difendere la natura e il futuro dell’uomo, ma mai triste. Un impegno “colorato” come i suoi indimenticabili acquarelli.

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons