Musica russa a Roma

A 50 anni dalla scomparsa, Dmitrij Sostakovic è un autore sempre speciale, vissuto nella Russia dittatoriale di Stalin e Breznev, mal digerita, ma sopportata, perciò nella sua musica coesistono ironia, grottesco, retorica e di fondo un cupo pessimismo.
Così, se l’Ouverture festiva op. 96 è musica d’occasione per i 30 anni della Rivoluzione d’ottobre, scritta nel 1947, rassicurante, scintillante fin quasi ovvia nel finale glorioso e nei momenti brillanti di (falsa) gioia, il Concerto n. 2 per violoncello e orchestra del 1966 è ben altra cosa.
L’inizio è stranamente un Largo quasi funereo, tragico, di dolore vasto e grigio, con lo strumento che asseconda l’orchestra in una melodia bassa, grave ed anche se tenta toni aguzzi e leggeri non toglie la tristezza. Certo, nei due tempi successivi la musica si fa pure scivolosa, ritmica, specie nello strumento che glissa, strepita acutamente, sussurra, si fa beffardo, ma non è felice. Corni e percussioni segnano momenti di ritmicità acre, la partitura si fa tormentata, selvaggia addirittura per chiudere con il sussulto scivoloso del solista in un pianissimo che odora di morte e di fine. Uno sguardo di un musicista che sente vicina la fine e non ha soluzioni. La musica è fascinosa, acida, penetrante, schianta e produce una nebbia nell’ascoltatore che resta ipnotizzato.
Il direttore russo Tugan Sokhiev non è un divo, non usa la bacchetta, usa i gesti e il corpo in maniera essenziale, ossia quanto serve con una orchestra tanto flessibile, curata e partecipe, alla quale bastano occhiate e segni per “capire” una musica, anche impegnativa come questa. Il direttore lascia suonare il violoncellista ungherese Istvàn Vàrdai, 40 anni, il suo magnifico Stradivari 1673 : uno strumento cantabile e ardito, balenante e scivoloso quando serve. Entusiasma tutti il giovane altissimo, gentile, misurato capace di saper suonare “insieme”all’ orchestra in modo naturale, complice.
L’ultimo brano del concerto è la Suite sinfonica Shéhérazade di Rimskij-Korsakov, 1888, brano popolarissimo fin da subito sulla favola delle Mille e una Notte. Un tripudio scintillante, barocco di colori, ritmi, melodie che il direttore sciorina da una orchestra divertita da tanto vigore e da una bellezza che è racconto, dramma e liricità, grazie anche al primo violino Parazzoli che chiude con l’estasi notturna e fiabesca nella sospensione, nell’incanto: stupendo. Successo pieno.