Gaza, una riviera di macerie

Prima di realizzare la meravigliosa “riviera del Medio Oriente” vagheggiata dal presidente Trump e caldeggiata dal governo di Netanyahu nell’ex Striscia di Gaza, ci sono 2 milioni di abitanti da trasferire e 50 milioni di tonnellate di macerie da spostare.
Gaza dopo i bombardamenti israeliani. Foto Ansa EPA/HAITHAM IMAD

Il 6 febbraio il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha annunciato di aver avviato i preparativi per il «trasferimento su base volontaria degli abitanti della Striscia di Gaza», dopo che il presidente Usa Donald Trump si era offerto, a guerra finita, di assumere il controllo, anzi la proprietà, del territorio vuoto, senza abitanti. Per costruire la riviera del Medio Oriente.

A sentire Trump e il governo israeliano, la proposta statunitense si configura come una geniale operazione umanitaria per la pace. Purtroppo il mondo arabo sembra non aver colto la generosa offerta ed hanno giudicato la straordinaria prospettiva come se fosse nient’altro che un’ignobile pulizia etnica per cacciare più di 2 milioni di palestinesi. Eppure Katz è stato chiaro e trasparente, dicendo di aver dato disposizione «all’esercito israeliano di mettere a punto un piano che permetta a tutti gli abitanti di Gaza che lo desiderano di partire per qualunque paese sia disposto ad accoglierli». Anzi, ha promesso di mettere a disposizione i mezzi per effettuare il trasferimento: via terra, mare e perfino aria. Purché se ne vadano.

Ma i vicini arabi non hanno compreso questo piano e si sono pure indignati.

Trump dovrà convincerli ad accogliere gli “ospiti” spiegando che: no accoglienza no fondi. E come si dice in Toscana: senza lilleri non si lallera. Ho detto lilleri, un termine che fa rima con dollari.

Oltre a promettere di realizzare in men che non si dica la “riviera del Medio Oriente” sulle spiagge dell’ormai ex Striscia di Gaza, Trump ha assicurato agli israeliani che fornirà loro ben altri regali: un miliardo di dollari di nuove fantastiche armi (che possono sempre servire), che emanerà un “durissimo” ordine esecutivo contro l’Iran, che intende disporre l’immediata uscita degli Usa dal Consiglio Onu per i diritti umani (definito organismo antisemita) e il blocco dei finanziamenti statunitensi all’Unrwa (l’Agenzia Onu per i profughi palestinesi): agenzia, secondo Netanyahu, notoriamente collusa con Hamas.

Prima di realizzare la “riviera del Medio Oriente” ci sono però due problemi da risolvere.

Oltre a dove collocare gli abitanti attuali ci sono da spostare le macerie e quello che custodiscono.

A gennaio, una stima fatta dalle Nazioni Unite ha ipotizzato in 50 milioni di tonnellate le macerie lasciate dai bombardamenti israeliani. Magari sono solo 40 milioni, ma sono comunque i resti di 170 mila edifici, 136 scuole e università, 823 moschee e 3 chiese. Macerie in gran parte costituite da acciaio e cemento (non mattoni), che non si possono rimuovere con pala, piccone e carriola, ma solo con bulldozer e gru.

Non ci sono però solo edifici distrutti. Ai fini di una ricostruzione occorre considerare i danni al 70% delle strutture idriche, igieniche e sanitarie. E ad almeno metà delle rete elettrica.

Spostare questi detriti (dove?) è un lavoro che potrebbe richiedere una ventina d’anni e oltre 1 miliardo di dollari. Detriti che sono sicuramente contaminati dall’amianto usato abbondantemente nei campi profughi, macerie che contengono ordigni inesplosi e, soprattutto, cadaveri. Hamas parla di 10 mila corpi rimasti sotto le macerie, oltre agli altri 30-35 mila sepolti in qualche modo dai superstiti.

Effettivamente non si sa quanti siano veramente i morti, e la reazione di alcuni ambienti convintamente neo-sionisti è sempre: non è vero, Hamas mente anche sui numeri. Anzi durante la guerra sono nati molti più palestinesi di quanti non ne siano morti.

A guardare i 50 milioni di tonnellate di macerie non si ha questa sensazione.

Il problema resta sostanzialmente immutato.

Soltanto lo sbancamento delle macerie e l’allontanamento dei non meno di 2 milioni di abitanti renderà possibile la costruzione della “riviera del Medio Oriente”.

E qui sorgono alcune inquietanti domande: si possono lasciare 2 milioni di abitanti in un luogo simile e senza risorse di alcun genere? Per quanto tempo? Dieci anni, venti? È dunque d’obbligo assecondare il piano di trasferimento volontario prospettato da Trump e accolto con grande favore da Netanyahu e relativo governo? Quanto volontariamente abitanti e profughi lasceranno la loro terra, ben sapendo che sarà per sempre? E i giovani gazawi superstiti se ne andranno “tranquillamente” in un altro campo profughi all’estero oppure si getteranno ancora di più nella fornace dell’odio? E non sto parlando di Hamas, che è praticamente al tramonto, ma dei nuovi Hamas che sorgeranno (anche se con un altro nome), molto più inferociti di quello attuale.

L’ultima domanda è: in tutto ciò cosa c’entra la pace?

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons