Fine vita: le anomalie della legge toscana
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Leggendo i resoconti della discussione in regione Toscana sulla legge del fine vita, approvata l’11 febbraio scorso, e ora sospesa per un mese a causa di un cavillo tecnico, propongo alcune riflessioni che, se pure a posteriori, cioè a legge approvata, possono essere motivo di ulteriore approfondimento sul tema, assai complesso e delicato.
Su questo ambito – della vita, delle cure sanitarie e della morte -, è innanzi tutto necessaria una legge nazionale che uniformi l’operato dei sanitari: il documento deve tener conto della complessità del tema, senza ideologie e scorciatoie, ma con la fatica del confronto e dell’approfondimento nelle sedi giuste, con un dibattito approfondito in Parlamento.
Rifugiarsi nella dizione “legge procedimentale”, come è stato fatto in Toscana, sembra aggirare la necessità di una procedura e un iter nazionale. Come è stato notato da qualcuno, la legge rischia inoltre di essere impugnata dal Governo per una evidente incompetenza delle regioni a legiferare in questo ambito.
In un tempo in cui è fortemente messa in discussione l’autonomia differenziata con tutte le sue conseguenze, sembra davvero poco coerente puntare su un provvedimento regionale. Mi sembra perciò equilibrato quanto afferma Paolo Ciani, vicepresidente alla Camera del gruppo “Partito Democratico -Italia democratica e Progressista”:«Credo che su temi così delicati non servano fughe in avanti, ma una riflessione ampia; cosi’ come sono convinto che sia necessaria la vicinanza ai malati e la lotta al dolore, sviluppando e implementando le cure palliative e non validare un presunto ‘diritto alla morte’».
Anche i vescovi toscani si sono espressi chiaramente nel gennaio scorso: «Nella cura delle persone in condizione di fragilità, la Toscana è stata esempio per tutti: la nascita dei primi ospedali, dei primi orfanotrofi, delle associazioni dedicate alla cura dei malati e dei moribondi, come le Misericordie, e poi tutto il movimento del volontariato, sono un’eredità che continua viva. Ci sembra che in un momento di crisi del sistema sanitario regionale, più che alla redazione di “leggi simbolo”, i legislatori debbano dare la precedenza al progresso possibile anche nel presente quadro legislativo, in un rinnovato impegno riguardo alle cure palliative, alla valorizzazione di ogni sforzo di accompagnamento e di sostegno alla fragilità. La vita umana è un valore assoluto, tutelato anche dalla Costituzione: non c’è un “diritto di morire” ma il diritto di essere curati».
La tradizione e la storia della Toscana, la prima ad abolire nel mondo la pena di morte nel 1786, si pone su una linea diversa, di difesa della vita e della dignità della persona. Il “diritto di essere curati“ è oggi leso da un progressivo smantellamento del sistema sanitario pubblico per cui molti, meno abbienti, non possono più curarsi. È, a mio avviso, questa priorità, eminentemente sociale, quella da privilegiare in campo sanitario.
Ho letto in modo attento le dichiarazioni dei vari consiglieri regionali che si sono espressi il 10 e l’11 febbraio su questa legge. Mi sembrano adeguate le parole del cardinal Lojudice, arcivescovo di Siena, presidente della Conferenza episcopale toscana: «Ai cappellani negli ospedali, alle religiose, ai religiosi e ai volontari che operano negli hospice e in tutti quei luoghi dove ogni giorno ci si confronta con la malattia, il dolore e la morte dico di non arrendersi e di continuare ad essere portatori di speranza, di vita. Nonostante tutto. Sancire con una legge regionale il diritto alla morte non è un traguardo, ma una sconfitta per tutti».
Provocatorie anche le considerazioni del vescovo Tardelli di Pescia : «Quanto ai cattolici impegnati in politica, ammesso che ancora esistano, almeno qualche volta non dovrebbero aver paura di andare contro corrente […]. Dal canto nostro, come Chiesa non arretreremo a fronte delle richieste di amore e di cura che provengono dalle famiglie e dalle comunità, che chiedono semmai più risorse e più sostegno per l’accompagnamento delle persone malate o fragili, per tutelarne realmente la dignità, fino alla fine».
La Regione Toscana ha fatto invece un’altra scelta: con una fuga in avanti, che ha voluto precedere regole nazionali, adeguatamente ponderate e discusse, di fronte alle sofferenze delle persone con malattie in fase terminale, invece di garantire risorse alle cure palliative e aiuti alle famiglie con malati fragili, preferisce ideologicamente legiferare in maniera indebita sul suicidio medicalmente assistito.
Quindi: attenzione alla sanità pubblica, cura dei più fragili, rispetto della persona in ogni fase della vita.
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