Il 100% di un disabile

Nella giornata internazionale delle persone con disabilità vi proponiamo la storia di Roberto e delle sue potenzialità residue, tratto dal numero di Città Nuova di aprile 2020. Una strada per l’inclusione
Roberto con la sua macchina speciale

Essere disabili in un mondo disegnato sui normodotati non è semplice. Ci sono però sistemi intelligenti che permettono di ottenere gli stessi risultati di chi, nella vita, ha avuto più fortuna.
Roberto, 56 anni, è un signore con disabilità motorie particolarmente caparbio, che insieme a un gruppo di disabili ha creato e portato avanti per una decina di anni Futurarte, una cooperativa con sede a Roma che si occupava di restauro di mobili antichi. Per farlo hanno analizzato le potenzialità residue di ogni disabile e le hanno condivise, organizzando il gruppo in squadre. Roberto, con una mobilità ridotta, riusciva a guidare ragazzi con disabilità mentali per completare i lavori di restauro dei mobili: «Da 9 persone con disabilità abbiamo formato tre artigiani – racconta Roberto –. Quando abbiamo fatto l’analisi delle capacità residue, sono stato scelto per l’aspetto burocratico contabile, ma ho imparato anche a restaurare i dipinti, muovendo una mano».

Il sistema richiede un lungo lavoro di preparazione, fatto di analisi della persona, un corso quinquennale, esercizio sul campo e lavoro in équipe. «Il ragionamento da fare è: qual è il 100% di un disabile? I ragazzi spastici fanno movimenti inconsulti, ma possono essere impiegati nella pulitura e sverniciatura dei mobili. La parte più difficile – continua – è procurarsi il lavoro».
Già, perché quale antiquario mette in mano a dei disabili senza esperienza un mobile da restaurare? Il problema è stato aggirato grazie all’insegnante di restauro, che andava in giro con loro, spendendo la propria professionalità per prendere lavori. La cooperativa ha funzionato bene per anni, prima di incappare in difficoltà di natura gestionale che ne hanno segnato la fine.

Terminata l’attività con la cooperativa, Roberto ha utilizzato le sue competenze per insegnare restauro. Ha iniziato a lavorare per l’Istituto Vaccari, che dal 1936 si occupa di assistenza a persone con disabilità, con l’obiettivo di alleviare il carico familiare. «Abbiamo ripreso il principio delle potenzialità residue per realizzare spettacoli teatrali. Tutti sono impiegati secondo le proprie capacità: sia nell’allestimento scenico che nella recitazione».

Da quando lavora per il Vaccari, Roberto ha l’occasione di confrontarsi con le istituzioni, in particolare con il Comune di Roma. L’ultima battaglia riguarda il servizio comunale per il trasporto dei disabili: «C’è stato un avvicendamento tra le ditte che si occupano del servizio, mettendoci in difficoltà. Ho avuto l’occasione di parlare al sindaco Raggi davanti a 150 persone, per esporre i nostri disagi». Roberto ha iniziato a collaborare dunque con le istituzioni, per migliorare il servizio del trasporto disabili. «È la prima volta che riusciamo a parlare con il sindaco e il Comune, sono molto positivo al riguardo».

Le difficoltà per lui, che attualmente utilizza una sedia motorizzata per gli spostamenti, sono all’ordine del giorno. Dal semplice parcheggio dedicato non rispettato (Roberto guida un’autovettura speciale, con ingresso sul retro da pedana mobile e joystick alla guida) agli autobus con pedana guasta, all’assenza di servizi igienici per disabili: «La sera dopo lo spettacolo siamo andati a festeggiare in pizzeria, ma non c’era un bagno accessibile. Ho sudato a freddo per tutta la sera». La questione bagni torna spesso, Roberto ci dice che la cosa più brutta è dover chiedere la chiave per andare nei servizi igienici, cosa che si verifica puntualmente negli autogrill del meridione: «È l’aspetto più umiliante». I racconti di Roberto sono tra il comico e il tragico: «In una nota libreria del centro di Roma hanno installato un sollevatore da 15 mila euro per andare dalla sezione libri a quella musica, ma per entrare nel negozio c’è uno scalino di 20 centimetri!».

Roberto ha un figlio che lo aiuta spesso con gli spettacoli teatrali, e una fidanzata che lavora con lui al Vaccari: «Le persone, quando ci vedono insieme, pensano che sia mia figlia, non riescono a concepire che una ragazza normodotata, per di più bella, possa stare con me». La sua è una vita piena, fatta di un’autonomia costruita nel corso degli anni, lavorando sulle proprie capacità residue. Un sistema, questo, che può essere applicato ad ognuno di noi, interrogandosi su quale possa essere il proprio 100%, ovvero dove e come possiamo dare il massimo. Il suo motto è: «Se uno vuole, si fa».

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons