100 anni di Franca Valeri
Franca Valeri ha attraversato un secolo cimentandosi in tutti i mezzi di comunicazione che si sono affermati nel secolo breve. Nasce a Milano nel 1920 nello stesso anno in cui nella stazione Marconi di Chelmsford in Cornovaglia, Gran Bretagna, si trasmise il primo regolare servizio radiofonico della storia. La sua è una famiglia benestante, borghese. Il papà è un ingegnere ebreo e la mamma è cattolica. Le leggi razziali del 1938 rappresentano il suo dolore più grande quando vede il padre piangere.
La famiglia si separa dopo l’8 settembre del 1943, il padre e il fratello fuggono in Svizzera, lei e la mamma si rifugiano tra Lecco e la Brianza sfuggendo alle deportazioni grazie ad una carta d’identità falsa. Nella sciagura ha l’occasione di avere molto tempo per leggere, divora classici, italiani e stranieri che edificano le fondamenta stabili del bagaglio culturale necessario per costruire la sua identità e la sua carriera futura.
I suoi personaggi nascono dall’osservazione, dalla sua capacità di cogliere gli aspetti comici della realtà fatta di frivolezze e ipocrisie, specchio verosimile di un ambiente borghese. Inizia recitando in adolescenza, con le amiche, imitando, creando delle caricature in una specie di teatrino per amici e conoscenti.
Non è solo una caratterista, Franca Valeri, coglie l’anima dei personaggi che genera, crea la loro psicologia a tutto tondo, scrive i testi con precisione maniacale, tutto è soppesato, le pause, i tic, le frasi ricorrenti, la chiusura con la battuta finale. In fondo i suoi personaggi altro non sono che «il succo dell’arguzia ebraica, – scrive Patrizia Zappa Mulas – colato nello stampo di un’intellettuale aristocratica francese comicamente degradata al provincialismo italico».
È il caso della “signorina snob” milanese che trova proprio nella radio la sua consacrazione. Approda a teatro dopo la Seconda guerra mondiale quasi per caso. Sceglie e lavora sempre con amici veri e fonda con Vittorio Caprioli, poi diventato il suo primo marito, a Alberto Bonucci e Luciano Salce il Teatro dei Gobbi.
Dopo la radio e il teatro, il cinema negli anni ’50 con Luci di varietà di Federico Fellini e Alberto Lattuada. Lavorerà con i più grandi maestri: Steno, Emmer, Risi, Comencini, Zampa, Mattoli, Bolognini, Corbucci e con attori come Totò, Vittorio De Sica, Eduardo De Filippo e Alberto Sordi, suo coetaneo che appella “cretinetti” ne “Il vedovo”.
Con l’affermazione della tv e di varietà negli anni ’60, come Studio uno, Sabato sera, con ascolti in prima serata, quando esisteva un solo canale televisivo, che raggiungono e superano i 15 milioni di telespettatori, Franca Valeri entra nelle case di tutti gli italiani con la sora Cecioni e Cesira la manicure che entrano nell’immaginario popolare.
Usava il gesto della mano destra come una penna, la sua mimica come scenografia, le labbra stretta da cui uscivano frasi diventate tormentoni. «Pronto mammà, nun è che te sei dimenticata quarcosa su a tomba de nonno. Apposta che non mi dà più i nummeri».
Eppure dopo il successo ottenuto, la vasta popolarità, il riconoscimento del suo talento, essersi cimentata con tutti i mezzi di comunicazione e di spettacolo, torna al suo primo amore, l’opera lirica, sbocciato al Teatro alla Scala di Milano, all’età di sei anni. Frequenta e ama l’opera, la musica e i libretti, il connubio tra la parola esatta e concettuale e l’astrattezza delle note che evocano sentimenti eterni. Sarà regista teatrale di innumerevoli opere di Verdi, Puccini, Rossini, Mascagni, Bellini e Donizzetti, sottraendosi alle novità interpretative moderne. Ha le idee chiare, vuole che si rispetti lo spirito originario, la musica e le parole, le indicazioni registiche degli autori.
L’opera resta per lei il lavoro completo di una artista che coniuga recitazione, canto, movimenti scenici, luci, e l’impagabile rapporto con il pubblico. Una donna e artista completa, la prima comica, con il suo nome in testa nei cartelloni in un’epoca dove andavano di moda solo maggiorate, soubrette e vallette.