10, 100, 1000 viaggi della disperazione

Centinaia di migliaia di centroamericani fuggono dalla morte affrontando rischi enormi, come il papà salvadoregno affogato con la sua bimba alla frontiera con gli Usa. Li spinge la minaccia di una morte ancora più probabile
Migranti attraversano il confine tra Guatemala e Messico

In una Italia avvolta da un clima strano, nel quale si capovolge il mondo e chi, ieri, si dedicava al prossimo diventa un lercio speculatore sulle vite altrui (mi chiedo se tra poco qualcuno non tirerà fuori che, alla fin fine, religiosi e religiose che hanno declinato la carità in tante sfumature, non sono altro che narcisisti che vivono di drammi umani). In mezzo a idee così insane, è allora difficile comprendere cosa ci sia dietro la foto tragica del salvadoregno Oscar Martínez, affogato nel Río Bravo insieme alla figlioletta di meno di due anni mentre cercava disperatamente l’illusione di una vita migliore negli Usa, fosse anche violando la legge per entrare illegalmente.

La metà dei 130 mila illegali bloccati solo a maggio alla frontiera degli Usa col Messico – il 30% in più rispetto al mese precedente, siamo ormai a circa 100 mila al mese –, provengono dal “triangolo nord” centroamericano, una delle regioni più violente al mondo, formata da El Salvador, Guatemala e Nicaragua. Altri 45 mila sono stati bloccati dal Messico.

Dunque non solo messicani, come accadeva anni fa, ma c’è un esodo di disperati che fuggono dalla violenza di gruppi criminali che opera in assenza dello Stato. Chi viaggia in Guatemala sa che nell’hotel riceverà il consiglio di non uscire dopo le sei del pomeriggio se non è strettamente necessario e, in tal caso, avendo contrattato il mezzo di trasporto, evitando di circolare a zonzo. Per le strade della capitale potranno notare quanto siano numerosi i negozi che vendono armi, più di altri tipi di attività.

Migranti attraversano il confine tra Guatemala e Messico
Migranti attraversano il confine tra Guatemala e Messico

La militarizzazione della frontiera decisa dalla Casa Bianca è stata la risposta quasi unica, insieme all’idea del muro, un’opera da 11 miliardi di dollari. Il governo messicano ha dovuto cedere alla pressione del presidente Trump, mandando effettivi sia alla frontiera nord, con gli Usa, che a quella sud, col Guatemala, da dove entrano decine di migliaia di persone in fuga dal menzionato triangolo.

Il presidente López Obrador ha così evitato di peggiorare la situazione economica dopo le minacce di Trump di cominciare una scalata di aumenti dei dazi sui prodotti messicani che avrebbe prodotto ulteriori danni. Il suo progetto, invece, di investire nello sviluppo delle regioni di frontiera per creare opportunità di lavoro localmente, che avrebbe bisogno di circa 10 miliardi di dollari, è passato invece inavvertito. Una proposta che invece di destinare risorse per frenare la migrazione costruendo barriere, cercherebbe di frenarla creando lavoro e nuove opportunità. Purtroppo, né il presidente del Guatemala, che sta prendendo a calci la costituzione per evitare di finire sotto accusa per finanziamenti illegali della sua campagna elettorale, né quello dell’Honduras, pure invischiato in traffici poco chiari, hanno affrontato la questione, mentre il presidente di El Salvador ha preso poteri a giugno ed ancora non è chiaro cosa farà.

Eppure ci sarebbe tanto da fare. Prima di tutto rendere presente l’apparato dello Stato dove spadroneggiano i narcotrafficanti e le “maras“, bande armate che uccidono per un nonnulla. Sono ex militari e paramilitari che con la fine delle guerre civili che hanno sconvolto la regione –nelle quali gli Usa hanno serie responsabilità – sono rimasti disoccupati ed ora sono la manovalanza della delinquenza. Un flagello in più per queste economie tra le meno sviluppate del Centro America. Questo mix di fattori crea una disperazione che giunge all’inverosimile. Circa 18 mila dei 31 mila guatemaltechi rimandati indietro dagli Usa, erano minorenni che viaggiavano da soli, spesso alla ricerca dei loro genitori. Un mix, dunque, di povertà, miseria e poche chance di vivere che ti fa scegliere tra vari tipi di morte quella meno probabile.

Di queste storie ne abbiamo conosciuto solo una, quella del papà Martinez e la sua bimba. Restano ignote migliaia di altre esistenze, consumate nel dolore e nel silenzio di chi non vuol vedere questa emergenza umanitaria e di chi si chiude nel cieco egoismo.

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