“Troppo grossa?”. La bellezza è altro

Una giovane modella svedese, la diciannovenne Agnes Hedengard denuncia sui social che, dopo aver lavorato nel settore per quasi cinque anni, si è vista rifiutare qualsiasi incarico perché non in linea con lo standard richiesto nel settore, ma non regge affatto l'equivalenza tra la magrezza voluta dall'industria della moda e la bellezza
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Sta avendo ampia eco mediatica il video diffuso su YouTube da una giovane modella svedese, la diciannovenne Agnes Hedengard. La giovane, filmandosi in bikini davanti ad uno specchio – ed esibendo, diciamocelo, un fisico che stenderebbe la maggior parte dei ragazzi -, denuncia come, dopo aver lavorato nel settore per quasi cinque anni, si veda ora rifiutare qualsiasi incarico perché i suoi fianchi e il suo lato b – perdonate la diplomazia – sono giudicati «troppo grossi». Le viene così da più parti chiesto di dimagrire, pur avendo lei un indice di massa corporea (BMI) di 17,5 – e quindi al di sotto della soglia del sottopeso -, cosa che la ragazza definisce «assurda e odiosa». Agnes, che ora fa la commessa non ricevendo più alcun incarico come modella, conclude con un invito ad amare se stessi e il proprio corpo al di là di tutto: ad una rivista ha infatti ammesso di aver avuto «pensieri anoressici», essendo stata costretta per anni a contare ogni singola caloria, ma che l'esperienza le ha insegnato a «stare bene con sé stessa».

Il tutto, certo, non può dirsi esente da punti controversi: innanzitutto perché la modella «combatte» le aziende di moda con le loro stesse armi – si presenta in bikini ostentando le sue forme, ha lanciato una campagna sui social inviando fotografie in cui appare decisamente avvenente -, rendendo la cosa una gigantesca campagna pubblicitaria a favore del suo fisico – per, si presume, ritornare a lavorare in passerella o posare per i fotografi. Il che è comprensibile, se non fosse che non si capisce dove stia il confine tra la giusta denuncia degli standard imposti e il ricadere nelle stesse logiche che si cerca di avversare; e, detta in tutta onestà, mi piacerebbe tanto chiedere ad Agnes se sarebbe felice o meno di mettere su quei 2-3 kg che le mancano per arrivare alla soglia del normopeso (sospetto proprio di no). Però il merito di aver portato una volta di più l'attenzione sull'idea «malata» non tanto di bellezza, ma di «adeguatezza» da parte dell'industria della moda – il problema di Agnes non è infatti quello di non essere «bella», ma di essere «grassa» – rimane, mettendo le aziende di fronte alle proprie responsabilità in questo senso.

Come può questo influire sulle tante ragazzi e ragazze che soffrono di disturbi alimentari, o – dall'altro lato – sulle grandi maison? Realisticamente parlando, probabilmente poco. I primi e le prime infatti non si sentono certo dire per la prima volta che questi standard fisici non sono umani, mentre le seconde probabilmente risponderanno – come ebbe a dire la presidente dell'Unione delle agenzie di moda francesi Isabelle Saint-Felix davanti al disegno di legge che prevedeva pesanti multe per chi faceva sfilare modelle sottopeso -, che «è troppo semplicistico pensare che non ci saranno più anoressiche se eliminiamo le modelle troppo magre». Però, come già detto sopra, il suo merito più grande rimane quello di aver messo a nudo il fatto che l'equivalenza tra magrezza – almeno così come definita dall'industria della moda – e bellezza non necessariamente regge.

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