“Misericordia io voglio e non sacrifici”

Il messaggio di Francesco per il cammino quaresimale.  Un forte invito alla conversione interiore: «in questo amore c'è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l'uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere»
papa Ansa

Nell'Anno Giubilare della Misericordia il tema della Quaresima proposto da Francesco nel suo messaggio non poteva essere altro che la misericordia. Difficile commentarlo: si commenta da sé. Il mio sarà un tentativo di presentazione, rimandando al testo integrale. 

 

Il messaggio è diviso in tre parti, mi soffermerò in particolare sulla terza. La prima parte è un'introduzione, dove è presentata Maria, le cui viscere materne sono icona della misericordia divina. La seconda è una sintesi del rapporto di Dio con gli uomini: “una storia di misericordia”. Cito alcune frasi: “Siamo qui di fronte ad un vero e proprio dramma d'amore, nel quale Dio gioca il ruolo di padre e di marito tradito, mentre Israele gioca quello di figlio/figlia e di sposa infedeli”. E continua:” Questo dramma d'amore raggiunge il suo vertice nel Figlio fatto uomo .. Il Figlio di Dio è lo Sposo che fa di tutto per riguadagnare l'amore della sua Sposa (…) In Gesù crocifisso Dio arriva fino a voler raggiungere il peccatore nella sua più estrema lontananza, proprio là dove egli si è perduto ed allontanato da Lui. E questo lo fa nella speranza di poter così finalmente intenerire il cuore indurito della sua Sposa”.

 

Fin qui, la misericordia di Dio. La terza parte rovescia la situazione, presentando l'uomo, reso “a sua volta capace di misericordia. È un miracolo sempre nuovo che la misericordia divina si possa irradiare nella vita di ciascuno di noi”. Qui appare già che la nostra capacità di misericordia non è un dovere, ma un dono. Dio, attraverso Osea, diceva: “Non darò sfogo all'ardore della mia ira […], perché sono Dio e non uomo” (11,9). La misericordia è l'essenza più intima di Dio, la realtà più divina di Dio: quindi l'uomo misericordioso è “divinizzato”.

 

Papa Francesco, secondo il suo stile, non rimane nella teoria e ci ricorda che “la nostra fede si traduce in atti concreti”, che sono le opere di misericordia corporali e spirituali. Le aveva già citate nel documento di indizione del Giubileo della Misericordia, e le riprende ora. Vale la pena riportarle espressamente, così come sono espressione di profonda saggezza umana.

 

Opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti.

Opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti.

 

Sullo sfondo di queste proposte di vita si intravedono le beatitudini del discorso della montagna (Mt 5, 2-12) e il quadro del giudizio finale (Mt 25, 31-46). Francesco ricorda che “nel povero, la carne di Cristo diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura”, perché “i poveri sono i privilegiati della misericordia divina”.

 

Qui si possono fare due tipi di considerazione. In primo luogo, a livello personale e di comunità cristiana. Quali sono le nostre priorità? Stiamo con “i privilegiati della misericordia divina”? Non per beneficarli, ma per beneficarci. Dovremmo avere paura di finire nel branco delle “capre” (“Via, lontano da me, maledetti…”) e invece mettercela tutta per sentirci dire: “Venite, benedetti del Padre mio….). Chissà che sorprese quel giorno! Ricordiamo altre parole di Gesù perfettamente in parallelo: “Non chi dice: 'Signore, Signore', entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: 'Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demoni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?'. Ma allora io dichiarerò loro: 'Allontanatevi da me, voi che operate l'iniquità' “ (Mt 7, 21-23).

 

Per non dare l'impressione che sto facendo la predica, vengo alla seconda considerazione. Le opere di misericordia possono essere lo stimolo e l'ispirazione per i cristiani a impegnarsi nella società e addirittura il programma di un governo (comunale, regionale, nazionale). Qualche esempio: accogliere i forestieri (Ministero degli Interni), assistere gli ammalati (Ministero della Salute), visitare i carcerati (Ministero della giustizia), insegnare agli ignoranti (Ministero della Pubblica Istruzione), sopportare pazientemente le persone moleste (dialogo fra le diverse forze politiche…). Ce n'è per tutti e a tutti i livelli. Le opere di misericordia sono una sfida a operare e una condanna per chi non fa.

 

Nella parte finale Francesco propone un invito alla conversione, che è, allo stesso tempo, una provocazione. Si rivolge al “povero più misero, che si rivela essere colui che non accetta di riconoscersi tale”, perché “schiavo del peccato”. Il papa non allude genericamente ai “peccatori”, ma punta il dito su chi detiene il potere e la ricchezza, senza utilizzarli per servire Dio e gli altri, condannandosi così a un “accecamento menzognero”, che lo porta a “soffocare in sé la profonda consapevolezza di essere anch'egli null'altro che un povero mendicante”. E scende a denunciare esplicitamente “le ideologie del pensiero unico e della tecnoscienza, che pretendono di rendere Dio irrilevante e di ridurre l'uomo a massa da strumentalizzare”. Come anche “le strutture di peccato collegate ad un modello di falso sviluppo fondato sull'idolatria del denaro, che rende indifferenti al destino dei poveri le persone e le società più ricche”.

 

La denuncia di Francesco è intrisa di profonda tristezza, resa umana dall'evocazione della parabola del ricco e del povero Lazzaro: “Lazzaro è la possibilità di conversione che Dio ci offre e forse non vediamo”, perché “è figura del Cristo che nei poveri mendica la nostra conversione”. È l'unica porta della speranza: “È toccando nel misero la carne di Gesù crocifisso che il peccatore può ricevere il dono della consapevolezza di essere egli stesso un povero mendicante”, scoprendo che “solo in questo amore c'è la risposta a quella sete di felicità e di amore infiniti che l'uomo si illude di poter colmare mediante gli idoli del sapere, del potere e del possedere”. Una speranza seria.

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