La modestia, un thriller grottesco
Al Piccolo di Milano Luca Ronconi dirige quattro attori per otto personaggi. Una storia di equivoci e di espedienti tra Buenos Aires ai nostri giorni, e un paese dei Balcani in un tempo passato
Segue il classico meccanismo del giallo. Ne La modestia dell’argentino Rafael Spregelburd, autore cult ormai mondiale, ci sono alcuni indizi: una pistola, delle videocassette compromettenti, strane telefonate, una ragazza scomparsa, una nave affondata in circostanze misteriose, una deflagrazione improvvisa di muri e oggetti. Una trama enigmatica per «uno spettacolo da percepire», è l’avvertenza del regista Luca Ronconi. La messinscena è un perfetto congegno ad orologeria innescato da quattro magnifici attori, Maria Paiato, Fausto Russo Alesi, Paolo Pierobon e Francesca Ciocchetti. In diversi ruoli essi danno corpo a questo testo visionario, ironico, dalla scrittura febbrile, vicina all’assurdo, ma con reali matrici storiche e politiche dell’oggi.
Ad ispirare il testo, terzo dei sette capitoli del progetto “Eptalogia”, è stata l’epoca del pittore fiammingo Hieronymus Bosch rappresentata nel quadro omonimo, dove sono raffigurati i sette peccati capitali. Per Spregelburd, i vizi contemporanei sono paranoia, stravaganza, caparbietà, stupidità, panico, inappetenza e finta modestia, pericolosissimo vizio che sa di mediocrità. Così ribaltati, con la sua tipica scrittura che sovverte le regole delle comunicazione teatrale, ha composto altrettante pièces. La modestia, in uno scambio di18 scene alternate, senza soluzione di continuità, sempre dentro la stessa casa, intreccia due storie parallele con gli interpreti che si sovrappongono, si confondono, si comunicano.
La prima si svolge in una Buenos Aires dei giorni nostri; la seconda in un Paese dell’Est di un tempo passato. Il dialogo che s’instaura fra i quattro personaggi apre via via squarci di storie con una “logica” di cui inizialmente sfugge il senso. C’è un avvocato, invischiato in loschi affari con identità indecifrabili che alludono a fatti banali; si parla di relazioni che non sappiamo se immaginarie o reali; subentra la vicenda più “lineare” di uno scrittore in crisi, malato di tubercolosi e prossimo alla morte, che un medico ambizioso – un immigrato senza permesso di soggiorno –, promette di guarire in cambio dei diritti di un romanzo che egli dovrà concludere e che gli procurerà sicura ricchezza. Quel romanzo, però, all’insaputa dello stesso autore forse è già stato scritto dal suocero defunto o dalla moglie che lo ama e lo vuole salvare.
Nel procedere delle tre coinvolgenti ore di spettacolo dall’andamento romanzesco – alla Feydeau, con citazioni cechoviane e atmosfere alla Hitchcock – ascoltiamo echi di dittature militari, di crisi economica, di razzismo, di immigrazioni coreane, di muri abbattuti, di cospirazioni e spionaggi. Insomma, un mondo che ci riguarda. Come ci riguardano, di queste esistenze alla deriva, i sentimenti che nelle venature del testo s’insinuano: la disperazione, il dubbio, la paura, la mortificazione, la pietà. Tutto verrà spazzato via, infine, dalla donna sopravvissuta che rabbiosamente butta a terra i vasi di fiori che affollavano l’interno di mattonelle verdi della bella scena carica di mobilio, suppellettili, e porte che s’aprono sul nulla. I sogni infranti della crisi del nostro tempo? Sicuramente questo, e molto altro ancora.
La modestia, di Rafael Spregelburd, regia Luca Ronconi, traduzione Manuela Cherubini, impianto scenico Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca, luci AJ Weissbard. Al Piccolo Teatro Grassi, Milano, fino al 5 febbraio.