“Il Sacro della primavera”: l’urlo di una generazione

Intervista alla coreografa e danzatrice Michela Lucenti per il debutto al Teatro Due di Parma della sua rilettura della celebre partitura di Stravinskij
il sacro della primavera

S’aggira solitaria sul palcoscenico vuoto. Pensierosa, smarrita. Azzarda dei movimenti. Dapprima titubanti, poi più decisi. Striscia, s’alza, solleva le braccia, ricade, si accovaccia. A Michela Lucenti si unisce un folto gruppo di ragazzi in abiti casual. Disposti frontalmente intonano un canto muto accompagnato dal gesto di un braccio alzato, in segno di rivolta.. Lei si distacca e va via.

 

Da questo punto in avanti s’innesca un fisicità bruciante, furiosa, che esploderà individualmente e collettivamente. Dove si stagliano individualità e solitudini, giovani inquieti in balia di tutto, che giocano per anestetizzare l’angoscia e il vuoto, e si sfidano per nascondere l’impossibilità di essere adulti. Un dj-set sporcherà continuamente di suoni spuri la musica di Stravinskji. Aggiungerà le note “barbare” di oggi a quelle dell’epoca del compositore russo. Ad aver azzardato questa contaminazione è Michela Lucenti, coreografa e danzatrice, anima, insieme a Maurizio Camilli, della compagnia Balletto Civile.

 

Da cosa nasce questa rilettura de La Sagra della primavera, che nella tua versione è diventata Il sacro della primavera?

«Dalla decisione di concretizzare un desiderio nel momento in cui ho trovato una chiave di lettura forte, attuale. Per me la vittima del rito della Sagra non è più una persona, ma una generazione intera: quella dei trentenni di oggi. Per quello che stiamo vivendo nel nostro Paese, sono loro quelli assolutamente persi, che vivono una situazione di stallo. Sono quelli coi padri assenti e ai quali sono sfuggiti di mano i fratelli maggiori. È una generazione fragile che rischia di avere saltato un tempo e corre il rischio, soprattutto, di essere bypassata da una forza molto più giovane e più agguerrita. La loro non è solo una questione di precarietà lavorativa, ma emotiva, relazionale».

 

Il gruppo in scena è formato da danzatori e attori che hanno frequentato il tuo corso di formazione che ha sede al Teatro Due di Parma.

«È un progetto che riguarda la formazione e la specializzazione. Avere, cioè, attori già diplomati e danzatori con un’esperienza importante, che possano, con delle borse di studio, stare sei mesi insieme a studiare. Ed è stato durante questo periodo, alla fine del percorso, che sono nati il Sacro e il Woizeck, l’altro spetacolo che ha appena debuttato. Nel momento in cui ho aperto le audizioni a Parma sono arrivate centinaia di richieste, che mi hanno fatto constatare la fame enorme di tanti giovani non solo di studiare, ma di farlo con gli altri. Il Sacro è nato quasi naturalmente da questa falange disperata, compatta e reattiva».

 

Quindi hai trovato “materiale umano” per rappresentare l’idea che avevi…

«Infatti è una creazione collettiva, con coreografie scritte per i corpi precisi che la eseguono. Si è lavorato molto sullo studio filologico dell’opera per poi provare a darne una lettura nostra».

 

Cosa vuoi comunicare? Qual è la necessità che vi ha animato?

«La necessità per noi è di urlare, di farsi sentire. Lo spettacolo urla che la vittima sacrificale va in massa. Ma come un rito rigeneratore. Per riprenderci delle cose e dimostrare con forza che si è in grado di sostenerle. È un urlo che manifesta una presenza».

 

Il titolo, diversamente da come lo si conosce, è stato modificato…

«Perché in origine è proprio Il sacro della primavera. La traduzione è assolutamente letterale. La sagra richiama un’epopea. Per me invece l’idea forte era di andare a riprendere l’unica dimensione verticale ancora esistente: il sacro. Salvare quello che c’è ancora di sacro nella mia primavera, cioè nella mia giovinezza, nella mia età».

 

Paura di raffronti con altre celebri coreografie?

«Paura totale. Proprio per questo la nostra è totalmente irriverente, anche da un punto di vista musicale. Siamo arrivati a questo mostro sacro con grandissima leggerezza e riappropriazione totale. In quel modo provocatorio, ma senza irriverenza».

 

Il sacro della primavera” e “Woizeck” al Teatro Due di Parma, fino al 4 dicembre.

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