“Forza Napoli” e Chaqir è salvo

La cooperativa sociale milanese ABCittà raccoglie e racconta storie vere, come quella dei due fratelli scappati dal padre in Marocco per cercare la madre in Europa
migranti

«Il mio libro comincia con la separazione dei miei» racconta Abdelhay Chaqir, ventitreenne d’origine marocchina con un bell’accento milanese: «Mio padre faceva parte dell’esercito, eravamo una famiglia ricca, imparentata con la casa regnante in Marocco. Lui mal sopportava l’indipendenza della mamma, che era un’imprenditrice e guidava la macchina. Un giorno, lei chiese il divorzio e mio padre ottenne il nostro affido esclusivo. Ci trasferimmo a palazzo Reale, che per me e mio fratello divenne una specie di prigione dorata: studiavamo lì, vivevamo lì, senza alcun rapporto con l’esterno. La mamma sostava spesso fuori dal palazzo, sperando di vederci, ma ogni volta veniva cacciata dalla gendarmeria.

 

Un giorno, mio fratello, stufo di non avere notizie della mamma, litigò furiosamente con mio padre costringendolo a darci un contatto di lei. Lui finse di capitolare, dandoci un numero che si rivelò sbagliato. La notte stessa, compreso l’inganno, mio fratello mi fece fare lo zainetto e, insieme, fuggimmo. Lo scopo era ritrovare la mamma, che sapevamo aver lasciato il Marocco e che speravamo si trovasse da nostro zio, che aveva una pizzeria a Milano.

 

«Raggiungemmo Tangeri facendo l’autostop. Quella notte la passammo al porto, circondati da altri migranti, coccolati da una signora anziana che ci trattò come dei figli. Così, scoprimmo come si poteva attraversare clandestinamente: lì, sulla banchina, dove erano ammassate le persone, tutte vestite con delle mute, si trovavano due turbine di sfogo, buchi che facevano passare attraverso l’acqua, mossa dalle navi veloci che partivano per Tarifa. Erano tunnel lunghi una trentina di metri. Per fuggire ed entrare nell’apertura del pontile del traghetto, si doveva aspettare la corrente di risucchio della nave. Comprammo anche noi le mute, e ci mettemmo in coda. Sarebbe andata per prima la signora anziana e poi mio fratello le avrebbe passato me. Ma quando toccò a noi, la donna lanciò un urlo terrificante: davanti a lei un ragazzo era stato maciullato dalle eliche della nave!

 

«Spaventati, decidemmo di rinunciare e di tornare da nostro padre, ma proprio mentre camminavamo lungo la strada, un tir si fermò, il camionista scese e si lanciò verso mio fratello, indicando la mia maglietta: indossavo l’unica rimasta asciutta, una maglia del Napoli di mio fratello (con il 10 di Maradona), che aveva comprato quando, tanto tempo prima, era stato con i miei a trovare lo zio, a Milano. Il camionista era napoletano e trasportava arance. Mio fratello si mise a contrattare con lui, e fu molto bravo, perché barattò la maglia del Napoli con un passaggio in Europa. Fu così che quella sera ci addormentammo in Marocco e, al mattino, ci risvegliammo in Spagna…».

 

Così, funziona la Biblioteca Vivente: si sceglie un libro, ci si siede davanti a lui, si ascolta la sua storia e, magari, si vince un pregiudizio. È così che ho scoperto la storia di Chaqir e di suo fratello, bambini migrati in Italia per amore della mamma. Una storia vera, raccolta dalla cooperativa sociale milanese ABCittà e proposta tra i libri della loro Biblioteca vivente (www.bibliotecavivente.org).

 

«Dopo varie traversie, riuscimmo a raggiungere la mamma, a Milano: una gioia incredibile! Oggi lavoro come mediatore interculturale con il Mudec, il museo delle Culture, e altre realtà. L’esperienza dei libri viventi per me è stata importante, perché ho potuto riappropriarmi della mia storia, senza vergogna».

Insomma, e vissero felici e contenti…

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