Winnie Mandela e la storia del Sudafrica/2

La vicenda di una storica militante per i diritti dei neri nella controversa vicenda del Paese africano. La presidenza di Nelson Mandela e del suo successore Thabo Mbeki. Seconda parte.

Nella prima parte della vicenda di Winnie Mandela abbiamo esaminato la sua turbolenta attività politica, ma anche la sua vita matrimoniale non è stata pacifica. Tante voci correvano sulle sue infedeltà durante la prigionia di Nelson Mandela, infedeltà che purtroppo sembra siano continuate anche quando nel febbraio 1990, gli sposi Mandela hanno ripreso una vita di famiglia. Come responsabile del servizio della previdenza sociale dell’Anc, sono emerse voci su una sua possibile relazione con il suo vice, un giovane impiegato di nome Dali Mpofu, con il quale sarà stabilito più tardi una concussione di corruzione. Mandela, che l’ha sempre sostenuta durante le accuse, davanti all’aggravarsi delle pesanti accuse e la pressione politica su un uomo che ormai non apparteneva più alla sua famiglia ristretta, ma a tutt’un popolo, ha ceduto e la coppia divorziò nel 1996.

Winnie Mandela lascia un Paese ancora in prova alla ricerca di una vera integrazione razziale. Nelson Mandela aveva avuto un grande sogno per il Sudafrica dove la maggioranza della popolazione nera è stata dominata per decenni da una politica razzista dei bianchi, che rappresentano solo il 20% della popolazione. Dopo 27 anni di prigione per il suo impegno nella lotta contro l’apartheid, fu liberato dall’allora presidente Frederick De Klerk l’11 febbraio 1990. Una volta vinte le elezioni presidenziali nel 1994, e alla guida di un ampio governo di coalizione che ha promulgato una nuova costituzione, Mandela ha posto l’accento sulla riconciliazione tra i gruppi razziali del Paese. Per Mandela, il nuovo Sudafrica doveva costruirsi su una profonda riconciliazione tra bianchi e neri. Per questo ha creato la Commissione Verità e Riconciliazione per indagare sulle passate violazioni dei diritti umani. Migliorare i rapporti razziali, scoraggiare i neri dalla rappresaglia contro la minoranza bianca e costruire una nuova immagine internazionale di un Sudafrica unito erano temi centrali dell’agenda del presidente Mandela. A tal fine, formò un «governo di unità nazionale» multirazziale e proclamò il Paese una «nazione arcobaleno in pace con se stessa e il mondo». In un gesto considerato come un importante passo verso la riconciliazione, incoraggiò neri e bianchi a radunarsi intorno alla squadra di rugby nazionale prevalentemente afrikaner quando il Sudafrica ha ospitato la Coppa del mondo di rugby del 1995. Economicamente, l’amministrazione di Mandela ha mantenuto la struttura liberale del suo predecessore nonostante le sue convinzioni socialiste, introducendo anche misure per incoraggiare la riforma agraria, combattere la povertà ed espandere i servizi sanitari. Mandela sapeva che il cambiamento poteva avvenire solo gradualmente ed includendo tutti. Dichiarando se stesso troppo anziano per governare un Paese come il Sudafrica, ha rifiutato un secondo mandato presidenziale e nel 1999 gli è succeduto il suo vice Thabo Mbeki.

Purtroppo le idee di Nelson Mandela non erano condivise da tutti, anche all’interno del suo partito. C’è chi pensava che bisognava fare subire ai bianchi tutta la sofferenza che avevano recato alla popolazione nera lungo gli anni, o per lo meno tenerli lontani della gestione degli affari pubblici. A dire il vero, era una visione miope che non prendeva in conto la non preparazione dei neri che per decenni non avevano partecipato alla minima decisione sull’andamento politico ed economico del Paese. Troppo presi dalle manifestazioni populiste e dalla repressione di un potere che non faceva altro che inventare sempre nuovi metodi di torture e umiliazioni, la popolazione nera aveva perso la concentrazione nell’educazione e nella preparazione di una classe dirigente che potesse subentrare una volta sconfitto il regime razzista. I regimi che si sono succeduti dalla partenza di Nelson Mandela hanno gareggiato piuttosto nel numero e nella gravità degli scandali che li hanno caratterizzati.

Thabo Mvuyelwa Mbeki fu uno dei pochi che approfittò dell’esilio politico per studiare in Inghilterra. La sua politica poggiava sul cosiddetto concetto del Rinascimento africano centrato sul bisogno di promuovere un restauro dell’identità africana e un senso di autostima e dignità. Ha promulgato il concetto a livello continentale e posto le basi per la trasformazione dell’Organizzazione dell’unità africana nell’Unione africana e per la nuova partnership per lo sviluppo dell’Africa (Nepad), una strategia per rinnovare il continente. Le scelte politiche di Mbeki sono state influenzate dal suo concetto di identità africana. Descritto da alcuni come un “nazionalista africano per eccellenza”, Mbeki era guidato dal desiderio di liberare il Sudafrica e l’Africa nel suo complesso dall’oppressione razziale e dal colonialismo. Il suo obiettivo principale, secondo The Economist, è stato «stabilire il nuovo Sudafrica come, prima di tutto, un Paese africano nero». Ma una serie di scandali l’hanno portato a dare le dimissioni il 21 settembre 2008.

Uno dei temi controversi della storia politica di Mbeki si è sviluppato tra il 1996 e il 1999, quando ha presieduto il sottocomitato del governo sugli appalti di armi, che ha proposto e approvato l’acquisto di 30 miliardi di Rand di beni militari. L’accordo portò a accuse di corruzione contro Mbeki, Jacob Zuma, ed altri dignitari del regime. Il controverso “accordo sulle armi”, come divenne noto, costò caro al contribuente sudafricano. Era anche in diretta opposizione alla politica di Mbeki di indirizzare l’economia lontano dalle spese statali e verso l’austerità fiscale.

La critica più severa della politica di Mbeki riguardava il suo approccio alla pandemia del virus dell’immunodeficienza umana (Hiv) e della sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids) nel 2001. La posizione di Mbeki metteva in dubbio il legame tra Hiv e Aids e, implicitamente, l’efficacia dei farmaci anti-retrovirali. Mbeki stava mettendo in dubbio la teoria “ortodossa” secondo cui l’Hiv causa l’Aids. Mbeki ha vietato la distribuzione di farmaci anti-retrovirali (Arv) agli ospedali pubblici perché credeva che le compagnie farmaceutiche stessero esagerando il legame tra Hiv e Aids per aumentare le vendite di droghe e che nascondessero gli effetti collaterali tossici degli Arv – che alcuni critici ritengono abbia ucciso più persone della stessa malattia. Le credenze non ortodosse di Mbeki sono costate al Sudafrica migliaia di vite ritardando la distribuzione di farmaci anti-retrovirali. Nel maggio 2002, la Corte costituzionale ha emesso una sentenza contro un appello del governo contro una sentenza della Corte Suprema che imponeva al governo di fornire la nevirapina a tutte le madri sieropositive. Le opinioni di Mbeki sulla controversia sull’Hiv/Aids non solo hanno contaminato la sua reputazione nella comunità internazionale, ma hanno avuto un impatto negativo sulla salute di tanti Sudafricani.

continua…

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