Covid: vademecum per la fase 3
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Dopo 86 giorni, cade l’ultimo impedimento alla libera circolazione all’interno del nostro Paese, chiudendo un periodo unico nella storia recente; si apre una nuova fase della lotta con il virus, non certo facile né priva di insidie.
Forse ancora di più che nei giorni drammatici della crescita dei casi, è cruciale la disponibilità di informazioni chiare e regole precise. Proviamo a guardarci intorno, alla ricerca di certezze.
Anzitutto: la situazione è veramente migliorata?
La risposta è sì, con alcune riserve. I dati del monitoraggio dei casi e dei ricoveri indicano una riduzione ormai stabile di entrambi, che riguarda l’intero Paese. Ma ci sono molti elementi che obbligano alla prudenza.
![Casi e ricoveri in Italia](https://www.cittanuova.it/wp-content/uploads/2020/06/Immagine4.jpg)
![Numero di nuovi positivi al giorni (media mobile a 14 giorni)](https://www.cittanuova.it/wp-content/uploads/2020/06/Immagine3.jpg)
La “coda” dell’epidemia, come previsto, è molto allungata: i malati e soprattutto quelli che necessitano di assistenza ospedaliera guariscono lentamente e la possibilità di nuovi contagi è sempre alta.
Inoltre ci sono ancora enormi differenze nella presenza di malattia nella popolazione fra una regione e l’altra, cosa che pone più di una preoccupazione per la prossima fase, di libera circolazione, e impone di tenere alta la guardia. Purtroppo non ci sono ancora regioni italiane dove si possa dichiarare esaurita la pandemia: questo avviene, secondo l’OMS, quando in una zona non si verificano nuovi casi per il doppio del periodo di incubazione della malattia (in questo caso, per 28 giorni).
![Casi su 100 mila abitanti delle regioni italiane](https://www.cittanuova.it/wp-content/uploads/2020/06/Immagine1.jpg)
Come sappiamo (se ne è discusso anche nel precedente articolo) la capacità attuale di testare rapidamente e condividere i dati epidemiologici ha molti punti deboli e si può fare molto per migliorarla: questo, secondo molti osservatori, è il nostro principale punto debole.
È vero che il virus ha perso forza?
Ci sono state numerose dichiarazioni, alcune francamente sconsiderate, sulla presunta mutazione o addirittura inattivazione del virus che sarebbe avvenuta con l’inizio della bella stagione. Come ben sanno i medici che prendono in cura i nuovi casi in ospedale – fortunatamente pochi – le cose non stanno affatto così.
Come tutti i patogeni di questo tipo, anche il coronavirus ha una stagionalità ed è vero che, nel periodo attuale, i nuovi casi sembrerebbero mediamente più lievi di quanto avveniva in inverno. Ciò può essere dovuto al fatto che si intercettano più in fretta i contagiati e veniamo a conoscere anche i pazienti meno gravi, mentre nella prima fase emergevano solo coloro che avevano bisogno di assistenza in ospedale.
Ma c’è anche (ed è una buona notizia) una ridotta capacità del virus di sopravvivere nell’ambiente esterno, per via del maggior calore e della minore umidità: se un soggetto contagioso tossisce o respira vicino a noi, le particelle virali ci raggiungono, direttamente o tramite le superfici di contatto, all’interno delle goccioline di saliva emesse dal portatore. Quando fa caldo queste si asciugano molto prima e il numero di particelle che ci infettano è minore: ciò potrebbe spiegare perché i casi attuali sono più lievi.
![Numero attualmente positivi in alcune regioni](https://www.cittanuova.it/wp-content/uploads/2020/06/Immagine2.jpg)
È necessario stare lontani ed usare la mascherina?
Attenzione però: anche se i potenzialmente infetti diminuiscono e il caldo rende più difficile la sopravvivenza del microrganismo, il rischio rimane e proteggersi è essenziale.
Per questo motivo, anche durante le prossime settimane, sarà indispensabile continuare a mantenere la distanza di almeno 2 metri dagli altri (a meno di persone già conviventi) e usare la mascherina dovunque sia possibile farlo: questo è sufficiente ad assicurare una buona protezione dal rischio, come dimostra una dettagliata e approfondita review sulla rivista Lancet.
Insegniamo a farlo anche ai più piccoli, magari con modalità che ricordano il gioco; loro sono i primi ad imparare e rendere “naturali” le nuove regole dell’interazione sociale e la loro capacità di abituarsi può essere una risorsa per tutti.
Disinfettare e lavarsi le mani è utile?
Oltre a questo, rimane essenziale l’igiene delle superfici e soprattutto delle mani, che deve essere effettuata scrupolosamente e ad ogni occasione di contatto con superfici potenzialmente contaminate: mezzi pubblici, maniglie, pulsanti e altri oggetti di uso collettivo. Anche qui, è bene chiarire che c’è una bella differenza fra individuare delle particelle di RNA virale in un pezzo di plastica dopo 7 giorni, e contagiarsi toccandolo!
Ma è vero che, soprattutto in luoghi umidi e poco arieggiati, le superfici possono essere contaminate da tosse e starnuti (pensiamo al bancone di un bar o allo sportello di un ufficio). Di qui, l’importanza di disinfettare mani e superfici, e con prodotti efficaci (ricordando che sono le mani a portare nella cavità orale o nelle congiuntive ciò che sopravvive sulle superfici, e quindi disinfettarle è la base)
Indicazioni chiare si trovano sul rapporto ISS-COVID n° 25 che spiega chiaramente quali disinfettanti usare per le comuni superfici: alcool al 70%, cloro allo 0,1% (corrisponde ad una diluizione 1:45 di comune candeggina) o disinfettanti a base di ammoni quaternari. Per il vestiario, il lavaggio superiore a 70°C, eventualmente con additivo disinfettante, è una garanzia sufficiente.
Come finirà?
Abbiamo visto che, con po’ di attenzioni e di regole, gli strumenti per proteggerci e tenere a bada la malattia non ci mancano. Questo anche se, purtroppo, non sembrano esserci all’orizzonte soluzioni definitive, almeno nel breve periodo: la strada per un vaccino è lunga, mentre sul versante delle terapie, nessuno dei molti protocolli di ricerca in corso ha ancora dato risultati incoraggianti.
Lo scenario più probabile è sempre quello di una fase di convivenza con il COVID che durerà sicuramente diversi mesi, costringendo le comunità a rivedere abitudini, regole, strategie e priorità: la sfida del cambiamento più grande, dopo il settore sanitario, aspetta una risposta dal mondo della scuola, settore che appare il grande assente nella discussione pubblica e dove regna un silenzio sempre più imbarazzante.
Non ci sono ricette risolutive, non ancora; ma una cosa la stiamo imparando, in questi giorni: il bene comune non si misura con il PIL.