Urbanizzazione, migrazione e postmodernità

Dopo un periodo di relativa stanchezza, sembra rinascere attualmente lo slancio missionario della Chiesa e quindi la tensione a portare il Vangelo di Gesù a tutta l’umanità. In un mondo radicalmente cambiato, la missione oggi si configura però in modo diverso. Se in passato poteva avere come paradigma la diffusione del cristianesimo in nuovi territori, nei quali si inviavano, come missionari, sacerdoti e consacrati, ai nostri giorni l’intero popolo di Dio è chiamato ad andare verso le nuove frontiere che non sono tanto geografiche quanto esistenziali. L’autore, docente di teologia nelle Filippine e presidente internazionale dei missiologi cattolici, s’interroga qui su che cosa ciò significhi sullo sfondo degli odierni fenomeni mondiali. 
immigrazione

Il XXI secolo con le sue macrotendenze di urbanizzazione, migrazione, postmodernità, rivoluzione digitale1 ed evoluzione tecnologica, pone la Chiesa di fronte a forze sociali di cambiamento che ne sfidano la missione. L’identità e il destino della società contemporanea sembrano venir determinate, infatti, da un mondo globale che crea opportunità ma anche pericoli, mettendo la missione in uno stato di potenziale crisi come mai prima2, sia per quanto riguarda i modelli della missione che i suoi operatori.

La realtà della globalizzazione rappresenta un’esperienza dell’umanità di oggi che incide a più livelli: sia “dentro”, sulla vita personale, che “fuori”, sulle comunità, il mondo e la sua rete di relazioni3. Uno dei cambiamenti più importanti che ne derivano è l’inaugurazione di un nuovo ordine mondiale con nuove categorie, un nuovo accordo globale, nuovi confini esistenziali e un nuovo orizzonte di significato4. In questa situazione, il mandato missionario di Gesù e lo scopo della missione da un lato rimangono invariati, così come sono stati messi a fuoco dal Concilio Vaticano II nel decreto Ad gentes e da Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris missio, ma dall’altro lato è cruciale oggi interrogarci sulla rilevanza e sul significato della missione e, in particolare, su come essa si debba svolgere in un mondo in cui geografia,  nazioni e Stati  sono stati de-territorializzati. Al crocevia del mondo globale siamo chiamati dunque a rispondere personalmente e come Chiesa alla domanda impellente: «Dov’è la missione e dove sta andando?»5.

Cercherò di illustrare qui le nuove sfide in particolare dal punto di vista dei fenomeni menzionati, cioè dell’urbanizzazione, della migrazione e della postmodernità. Tenterò quindi di delineare nuove risposte a queste sfide con una proposta di missiologia contestualizzata nel XXI secolo.

  Nuove sfide: urbanizzazione, migrazione e postmodernità

La sfida dell’urbanizzazione

Alcuni dati statistici ci fanno prendere coscienza delle condizioni di vita della popolazione mondiale in relazione all’urbanizzazione.

«Nel mondo, le persone vivono maggiormente nelle città piuttosto che nelle aree rurali: nel 2014, il 54 per cento della popolazione mondiale risiedeva nelle aree urbane»6. «Nel 2008, la civiltà ha vissuto una svolta epocale: metà della popolazione mondiale vive ora nelle città»7. Infatti, ogni settimana 1,4 milioni di persone migra in megalopoli o in centri urbani8.

«Nel 2010, il 33% della popolazione urbana nelle regioni in via di sviluppo viveva in baraccopoli. L’Africa subsahariana detiene il record delle persone che vivono in tali baraccopoli, 199,5 milioni (61,7%), seguita dall’Asia meridionale con 190,7 milioni (35%)»9.

La popolazione delle megalopoli del mondo è destinata a raddoppiare ogni 38 anni10. Nel 2015, nel mondo 3,9 miliardi di persone vivevano in città11. Nel 2030, saranno 5 miliardi le persone che vivranno nelle megalopoli, il che significa che 3 su 5 persone sulla terra vivranno in città12. «Entro il 2100, si aggiungeranno da tre a cinque miliardi di persone che vivranno in città (portando la popolazione urbana a 6,4-8,4 miliardi di persone)»13.

«La crescita della popolazione e la rapida urbanizzazione significano che abbiamo bisogno di creare l’equivalente di una nuova città di un milione di persone ogni cinque giorni da adesso al 2050»14.

Nonostante le opportunità offerte dalle città, molte persone rimangono economicamente emarginate con una crescente incidenza della povertà e di altri problemi sociali come la criminalità, l’insediamento illegale, la prostituzione e il traffico di esseri umani.

La sfida della migrazione

Oggi, più che mai, assistiamo a un grande aumento del numero di migranti per via di guerre e fattori politici ed economici. Alcuni chiamano la nostra generazione “l’età della migrazione”15. I dati mostrano che «negli ultimi 25 anni il numero delle persone che si spostano è raddoppiato da 100 milioni a quasi 200 milioni»16. Cifre recenti sulle migrazioni ci dicono che «oggi i migranti internazionali sono circa 232 milioni»17. Una persona su 35 nel mondo vive lontano dalla propria famiglia18. «Molti migranti vengono sradicati con la forza: all’incirca un numero che va da 30 a 40 milioni non è registrato, 24 milioni sono sfollati interni e quasi 10 milioni sono rifugiati»19.

Dietro all’esperienza della migrazione vi è una questione più profonda di disuguaglianza globale in cui le persone si trovano costrette dalle circostanze a lasciare le proprie famiglie e il proprio Paese d’origine al fine di «sopravvivere e vivere facendo fronte alle minime esigenze delle necessità quotidiane»20. Il costo sociale della migrazione comporta tra l’altro, dal punto di vista cristiano, la sfida di vedere come trasformare questa situazione in un’esperienza di discepolato nella diaspora ovvero in un esodo liberatorio della vita e in un nuovo modo di fare missione21.

La sfida della postmodernità

È difficile definire le caratteristiche della postmodernità. Anche la data d’inizio di questo periodo è oggetto di dibattito. Alcuni distinguono tra postmodernismo e postmodernità22. Da un lato, «vi è la tendenza ad utilizzare “postmodernismo” per la forma più intellettuale di pensiero che si ricollega a Lyotard o Derrida, o persino ne rintraccia le origini fino a Nietzsche»23. D’altro lato, “postmodernità” potrebbe essere intesa come un «contesto culturale più ampio che comprende sia modi di vivere che forme di pensiero e che può essere considerata più come una sensibilità»24.

La postmodernità come “sensibilità culturale”25 vede la società come multiculturale, diversificata e plurale. «Nella postmodernità», tuttavia, «il destino del sé sprofonda in un nuovo isolamento e in una perdita di connessioni. Eppure una delle sorprese della postmodernità sembra derivare da questa solitudine e si manifesta in un’apertura alla ricerca spirituale»26.

Il sé postmoderno subisce una nuova forma di isolamento in una specie di deserto culturale. Questa situazione può descrivere il villaggio globale di oggi in cui i vecchi supporti della società coesa sono quasi scomparsi. Per molte persone le àncore di appartenenza religiosa sono drasticamente diminuite. Viviamo sulla scia di una frattura multipla, in cui persino i vari linguaggi di ricerca del singolo non comunicano tra loro. Se è così, allora la postmodernità – anche nelle sue forme vissute o quotidiane – risente di una incapacità di sviluppare radici. Ciò si manifesta nel declino dell’impegno sociale a favore della giustizia, in un senso ridotto del passato, una specie di amnesia culturale… Si tratta di una sensibilità sofferente, di uno smarrimento, di una ricerca menomata, nel contesto di una cultura che offre pochi legami con gli altri e con la storia27.

I volti della postmodernità possono portare ad alcune polarità o tensioni oscillanti tra «un dubbio radicale e una qualche ricerca di nuova speranza, tra l’indifferenza annoiata legata alla frammentazione della cultura e il nichilismo»28. Pertanto, c’è bisogno di spostarsi da una “postmodernità passiva” o superficiale a una «postmodernità creativa che offre maggiori opportunità di dialogo con la fede»29. Perché «la tendenza della postmodernità creativa è di superare la dissociazione della sensibilità attraverso una nuova connettività e rivalutando il pensiero olistico»30.

Si potrebbe dire che «laddove la modernità ha lasciato l’essere umano solo e senza scopi, la postmodernità cerca di ampliare l’insieme dei rapporti, cosmici e comunitari, e riaprire il dialogo sugli obiettivi ultimi della vita»31.

  Nuove risposte:
affrontare le sfide

In passato la missione significava andare in territori o luoghi dove Cristo non era stato ancora proclamato, impiantandovi la Chiesa in modo che la gente di quei posti potesse conoscere Cristo e salvarsi32. Del resto, la storia della missione della Chiesa nel XVI secolo, in particolare fuori dell’Europa, camminava di pari passo con l’espansione di un impero e la conquista di popolazioni attraverso il potere militare, portando loro al contempo “la salvezza in Cristo”. Alcuni commentatori sostengono che i disegni espansionistici dell’Europa mettevano a disposizione le infrastrutture per una missione ad gentes organizzata e concertata. «L’impero non solo garantiva ai missionari la struttura necessaria per il trasporto, la protezione e persino il sostegno economico, ma senza dubbio incideva sul modo di concepire l’organizzazione della missione stessa sia in casa sia nelle terre lontane […] la mobilitazione degli istituti ha seguito i percorsi e ha assunto persino la retorica militare di quanti mettevano in piedi l’impero33».

Possiamo non essere pienamente d’accordo con quest’opinione che sembra ridurre la missione a un sottoprodotto dell’impero senza l’intervento dello Spirito Santo, e vederla come una semplicistica ed inesatta caricatura della missione, dato che i missionari spesso sono diventati avversari dell’impero schierati con le popolazioni locali, scongiurando la distruzione delle loro culture e delle loro lingue. Va riconosciuto tuttavia che «la convergenza fra la missione ad gentes e l’impero hanno dato vita a un potente modo di pensare dove il concetto di missione ad gentes si è associato alla dimensione del territorio»34. Tale convergenza può spiegare i modelli di missione che hanno prevalso all’epoca così come le nozioni di missione che ricorrevano a metafore architettoniche35 e militari.

Tornando alla domanda iniziale «Dov’è la missione e dove sta andando?»36, ci troviamo di fronte alla sfida di comprendere, sullo sfondo dell’urbanizzazione, del fenomeno migratorio e della postmodernità, che cosa possa significare la missione per la Chiesa del XXI secolo. Oggi, sebbene sia ancora valido il significato originario, secondo il quale i missionari si dirigono verso le periferie geografiche37 per proclamare Cristo, dobbiamo comunque prendere atto che la missione non ha a che fare solo con popolazioni che ancora non conoscono Cristo, ma anche con quelle che rappresentano le periferie umane ed esistenziali, come ha sottolineato Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium.

Cerchiamo quindi di identificare alcuni cambiamenti per illustrare possibili risposte a quella domanda.

Dalle metafore architettoniche e militari
alle metafore dello spazio

Le immagini della torre e del ponte come metafore architettoniche indicano una mentalità difensiva, sempre attenta a qualsiasi possibile invasione con un costante senso di allarme e di pericolo. L’attuale mondo globale, però, più che un determinato territorio geografico dai confini fissi, è uno spazio umano che si presenta come «una struttura aperta, un’agorà, un parco o una piazza e, dal punto di vista economico, come mercato»38. In questo contesto, la missione significa «creare nuove strutture che facilitino l’interazione globale, aprendo porte»39, protendersi verso le periferie40, investire in comunità e non in edifici, promuovere rapporti che nutrono la vita41 radicati nel modo di vivere secondo il Vangelo.

Dalla dipendenza dalle opere o dalle attività missionarie all’accompagnamento nella missione

Tante Chiese locali nel mondo intero hanno preso consistenza grazie alle opere di un gran numero di missionari. Il nostro mondo contemporaneo richiede però che si vada oltre un atteggiamento paternalistico in cui la gente diventa oggetto di attività o opere missionarie. Occorre che possano essere agenti attivi della missione, che fanno tesoro delle loro risorse e dei loro talenti per edificare insieme la Chiesa. Far missione oggi significa essere accompagnatori, gioiosi collaboratori e animatori nella missione evangelizzatrice della Chiesa. Vista così, la missione è una questione d’essere che testimonia l’opera salvifica di Cristo in un’umanità fragile, eppure redenta. In questa prospettiva, la missione riguarda l’unicità della persona umana nel contesto di una cultura che, trasformata da Cristo, si esprime pienamente senza essere minimamente etichettata come inferiore ad altre culture.

Dai confini territoriali alle frontiere umane

In passato la missione si è svolta all’interno dei confini delle nazioni, degli Stati e dei territori in cui venivano inviati missionari per svolgere determinate opere a seconda delle situazioni o circostanze diverse. I confini mantengono la loro validità. Ma occorre rendersi conto che il mondo globale ha una nuova mappa geografica in cui i confini sono reinterpretati come frontiere umane che hanno bisogno della missione salvifica di Cristo. La missione oggi si rivolge a tutta l’umanità che ha bisogno di Gesù Cristo. In questo senso, possiamo parlare di una missione ad altera, rivolta cioè a nuovi contesti42, e anche di una missione inter gentes, che avviene nel rapporto reciproco fra i popoli43. Si tratta, infatti, di andare non solo verso popoli in Paesi lontani dell’Asia e dell’Africa, ma anche verso quanti vivono nelle giungle dei grattacieli nelle metropoli multiculturali, multipolari, pragmatiche e non di rado materialistiche e atee. Così la missione oggi va incontro a diverse frontiere umane riconosciute come nuovi areopaghi in cui testimoniare Cristo.

Dalla plantatio Ecclesiae all’essere Chiesa44 

L’esperienza della missione ad gentes in vari continenti è diversa, in particolare nell’edificazione della Chiesa nei territori missionari. Il metodo della plantatio Ecclesiae, talvolta interpretato come un trapianto della Chiesa, ha portato molti benefici ai territori missionari. È un dato di fatto, tuttavia, che, a differenza del passato, dove tutto doveva essere una copia della Chiesa occidentale, oggi la Chiesa sente di dover prendere in considerazione la diversità delle culture, delle lingue, delle espressioni e delle strutture. Ciò comporta un passaggio radicale dall’uniformità all’interculturalità. Così che non si possa più parlare soltanto di una Chiesa in Asia, in Africa o in Europa, ma anche di una Chiesa dell’Asia, dell’Africa o dell’Europa45.

  Indirizzi specifici della missione di fronte alle sfide

Urbanizzazione

Nel contesto della crescente urbanizzazione, la missione assume la forma di una “cultura dell’incontro”46 che nella visione di Papa Francesco implica una rivoluzione della vicinanza e della tenerezza. Nei centri urbanizzati c’è, infatti, un senso forte di indifferenza e l’incontro reale tra le persone resta confinato all’interno di gruppi specifici di appartenza, secondo la propria occupazione, religione e nazionalità e secondo il proprio stato sociale. Nelle città, trovarsi come uno straniero perso nella folla diventa la normalità, come un valore predefinito. L’urbanizzazione può erigere muri d’indifferenza e di isolamento, così come si possono creare ghetti che destano sospetto e dove possono germogliare criminalità e conflitti. La missione oltrepassa questa frontiera configurandosi come accoglienza in mezzo alla diversità e come accettazione dell’altro che è diverso da noi. Nelle città, ogni essere umano a fianco a me è, in quel momento, il mio “spazio missionario”. L’altro che è diverso è un altro me ed anzi un altro Cristo.

Migrazione

La migrazione rappresenta una sfida profetica in un mondo in cui gli esseri umani sono semplicemente diventati merce necessaria per la globalizzazione economica. Secondo alcuni discorsi che la ripensano in chiave missiologica47 con categorie come diaspora, esilio, pellegrinaggio e superamento del divario, la missione nel contesto della migrazione va vista dalla prospettiva di una comunità globale quale famiglia che si sforza di offrire ai migranti buona assistenza, affinché possano adattarsi al nuovo ambiente, assicurando leggi migliori e che proteggano i loro diritti, migliori opportunità di realizzazione personale e una maggiore libertà di esercitare la propria fede. La missione come frontiera significa una comunità inclusiva dove esiste un’interazione significativa che favorisce una confluenza globale delle identità locali e dove vi è un profondo riconoscimento del valore del prossimo secondo la prima Lettera di Giovanni: «siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli» (1 Gv 3, 14). Inoltre, la missione nel contesto della migrazione significa che solo l’amore autentico per l’altro essere umano è in grado di indurre una trasformazione completa della persona, nonché del potere e della disuguaglianza globali.

Postmodernità

La postmodernità come sensibilità culturale ci propone una nuova lettura delle culture dominanti nel mondo globale dal punto di vista del Vangelo. L’insaziabile ricerca della felicità e della propria realizzazione rende l’essere umano inquieto in un mondo nel quale l’io ha smarrito le sue radici e che cambia sempre più rapidamente. In altre parole, malgrado l’apparente vittoria dell’io autosufficiente, si continua a soffrire nella prigione della solitudine. La missione come frontiera significa trasformare le culture contemporanee tramite la cultura del Vangelo. Si può quindi parlare di una cultura della generosità che trasforma la cultura dell’avidità e del consumismo, di una cultura della vicinanza o dell’accoglienza che trasforma la cultura dell’indifferenza, di una cultura dell’interiorità che trasforma la cultura della superficialità, di una cultura dell’armonia che trasforma la cultura del conflitto e della violenza, di una cultura della solidarietà che trasforma la cultura dell’emarginazione e dell’esclusione, di una cultura dell’introspezione che trasforma la cultura dell’informazione e di una cultura della comunità che trasforma la cultura della comunicazione. Al cuore della postmodernità vi è una fame di senso esistenziale e di relazioni autentiche che possono venire solo da Gesù Cristo che invita l’umanità alla pienezza della vita (cf. Gv 10, 10).

   Conclusioni

La missione ha una Chiesa. La Chiesa di Gesù Cristo, come ha sottolineato il Papa emerito Benedetto XVI, è destinata a tutta l’umanità48. Il nostro mondo globale ci aiuta a comprendere e sperimentare la missione di oggi come inter gentes perché, come dice Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium: «sentiamo la sfida di scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (EG 87).

Le sfide del nostro mondo globale potrebbero sopraffarci e indurci a chiedere dove sta andando oggi la nostra missione. Quello che conta è iniziare dall’interno, dalle nostre comunità, e permettere a Gesù Cristo in noi e tra di noi di andare incontro all’umanità di oggi.

L’immagine della Madonna del Segno o della Vergine orante mostra Maria con le mani alzate in preghiera. Sul petto è raffigurato, in un cerchio di luce celeste, Cristo l’Emmanuele. L’immagine esprime metaforicamente la capacità di ognuno di noi di far scaturire da noi, con l’aiuto di Dio, qualcosa di meraviglioso. Come Maria, siamo invitati a invocare lo Spirito Santo che accende in noi la passione di proclamare il Vangelo che è Gesù Cristo. Solo quando Cristo vive dentro di noi e tra noi possiamo diventare veramente discepoli missionari in comunione per il nostro mondo globale.

Andrew Gimenez Recepcion

1) Cf. E. Schmidt e J. Cohen, The New Digital Age. Reshaping the Future of People, Nations and Business, Random House, New York 2013.

2) C. D. J. Bosch, Transforming Mission. Paradigm Shifts in Theology of Mission, Orbis Books, New York 1997, pp. 1-3.

3) A. Giddens, Runaway World. How Globalization is Reshaping our Lives, Profile Books Ltd., Londra 1999, pp. 6-7.

4) P. Ferrara, La politica inframondiale. Le relazioni internazionali nell’era post-globale, Città Nuova, Roma 2014, pp. 5-10.

5) R. Schreiter, Challenges Today to Mission “Ad Gentes”, Meeting of the Superiors General of Societies of Apostolic Life, New York, 1 May 2000, p. 1.

6) Dipartimento di Economia e Affari sociali delle Nazioni Unite, World Urbanization Trends 2014. Key Facts (2014), 1. Vedi www.esa.un.org.

7) Ibid.

8) D. Grody, Crossing the Divide. Foundations of a Theology of Migration and Refugees, in «Theological Studies» 70 (2009), pp. 638-639.

9) Dipartimento di Economia e Affari sociali delle Nazioni Unite, World Urbanization Trends, cit., 1.

10) Ibid.

11) Ten referenced statistics on urbanization in anthropocenejournal.com [accesso: 23.3.15].

12) Ibid.

13) Ibid.

14) Ibid.

15) A.G. Recepcion, A Proposal for Understanding Mission Today in the Context of Migration, Paper per la Conferenza dell’Asia nell’area del Pacifico sulla migrazione, Hsichu, Taiwan (2013), p. 1.

16) D. Grody, Crossing the Divide, cit. p. 638.

17) Dipartimento di Economia e Affari sociali delle Nazioni Unite, World Migration Figures (ottobre 2013), 1.

18) Ibid.

19) D. Grody, Crossing the Divide, cit., p. 638.

20) R. Schreiter, Challenges Today to Mission “Ad Gentes”, cit., pp. 1-8.

21) Cf. Ch. H. Im – Amos Yong (edd.), Global Diasporas and Mission, Regnum Books International, Regno Unito 2014.

22) M. P. Gallagher, Clashing Symbols. An Introduction to Faith and Culture, Darton, Longman and Todd Ltd, London 1999, pp. 87ss.

23) Ibid.

24) Ibid., p. 91.

25) Ibid., p. 92.

26) Ibid., p. 95.

27) Ibid., p. 94.

28) Ibid.

29) Ibid.

30) Ibid., p. 97.

31) Ibid.

32) Cf. N. Tanner, The Church in the World (Ecclesia Ad Extra), Capitolo V della History of Vatican II, vol. IV, a cura di J. A. Kamonchak, Orbis Books, New York 2002, pp. 331-345.

33) R. Schreiter, Challenges Today to Mission “Ad Gentes”, cit., p. 5.

34) Ibid.

35) Ibid., p. 6.

36) Ibid., p. 1.

37) Cf. T. Longhitano sfp, The Year of Consecrated Life. Our Peripheries, in «Charisms in Unity», aprile-giugno 2015, p. 33. Cf. anche A. Spadaro in «La Civiltà Cattolica» n. 3925 del 4 gennaio 2014, pp. 3-17.

38) P. Ferrara, La politica inframondiale, cit. p. 6.

39) Ibid.

40) C. A. Spadaro, Svegliate il mondo!, Colloqui di Papa Francesco con i Superiori Generali, in «La Civiltà Cattolica» 165/1 (2014), pp. 5-6.

41) Cf. L. Bruni, The Wound and the Blessing. Economy relationships and happiness, New City Press, Manila 2013. Cf. anche F. Ciardi omi, Reciprocity. The Hallmark of Christianity, in «Charisms in Unity» 23/1 (January-March 2015), pp. 3-6.

42) R. Schreiter, Challenges Today to Mission “Ad Gentes”, cit., p. 6.

43) A. Maravilla, Missio Inter Gentes. Asia’s Gift to the Universal Church, in: Excelling in Mission, Don Bosco Press, Shillong (India) 2014, pp. 51-52.

44) N. Tanner, The Church in the World, cit. p. 343.

45) Cf. F.F. Claver, The Making of a Local Church, Claretian Publications, Filippine 2009, pp. 15-20.

46) Francesco, Evangelii gaudium, nn. 87-88.  Cf. anche T. Longhitano sfp, The Year of Consecrated Life. Our Peripheries, cit., p. 33, e A. Spadaro, cit., in «La Civiltà Cattolica», Quaderno n. 3925 (4 gennaio 2014), pp. 3-17.

47) Cf. Global Diasporas and Mission, cit.

48) Benedetto XVI, Messaggio per l’intitolazione dell’Aula Magna a Sua Santità il Papa Emerito Benedetto XVI, Pontificia Università Urbaniana, Città del Vaticano, 21 ottobre 2014.

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