Un Sinodo per la Chiesa italiana
Quando papa Giovanni XXIII convocò il Concilio, egli ne fece l’atto supremo di risposta evangelica alle violenze del mondo e alla tragedia di due guerre mondiali con un numero indicibile di morti. Il Concilio come grande risposta di pace e la “Pacem in terris” come il pieno compimento di tutto.
Non una dottrina, non un principio, ma un concilio, “il Concilio”. Oggi, quasi in parallelo, dopo il convegno ecclesiale nazionale di Firenze del 2015, prima che venga cancellato il discorso di Francesco sulla chiesa dei poveri e della pace, bisogna rilanciare la prospettiva sinodale del papa.
Bisogna completare, quindi, il percorso dal Concilio al Sinodo della Chiesa italiana, perché la nostra Chiesa faccia penitenza, converta i cuori e purifichi i comportamenti. Non abbiamo bisogno di politica e di sociologia, ma di grazia e di Vangelo. Dobbiamo aver il coraggio di guardare oltre per poter uscire fuori da ogni forma di clericalismo e di politicismo. Sono questi i vizi profondi che hanno devastato la Chiesa.
Non ci sono scorciatoie. In questo senso va riconsiderata la lunga stagione dei forum, movimenti, associazioni. Oggi tutto spinge per un grande rinnovamento spirituale che ha il nome del sinodo, il Sinodo della Chiesa italiana per vivere meglio la comunione, la diakonia e la martyria.
Da questo nascerà una nuova sapienza della prassi, che renderà feconda la presenza dei cattolici nel Paese.
Il Sinodo dovrà avere due lampade: il Vangelo e la Costituzione. Il Sinodo è la fontana del villaggio, che, con la sua fonte zampillante, rinfresca il cuore e la vita di un cattolicesimo affaticato e stanco, che, come la moglie di Lot, continua a guardare all’indietro e rischia di rimanere pietrificato.