Un golpe parlamentare in Paraguay
E mercoledì si è consumata la temuta rottura istituzionale. In modo grottesco e quasi surreale, con uno “sdoppiamento” del Senato.
In agosto, una sessione straordinaria convocata subito dopo quella ordinaria aveva votato contro una proposta di emendamento appena presentata, che prevedeva la rielezione o l’avvicendamento tra presidente e vicepresidente per una sola volta consecutiva che poi sarebbe stata oggetto di un referendum. Il popolo deve aver voce in capitolo su una decisione così importante, argomentavano.
Erano 25. Le loro foto e persino i loro numeri di celluare sono stati divulgati nei social.
Da martedì sera sono cominciate le proteste cittadine, che sono continuate le sere seguenti con maggiore partecipazione e intensità. Il presidente Cartes ha ordinato il dispiegamento dell’Esercito e della Polizia senza il decreto corrispondente. Allo stesso modo, il Parlamento è stato circondato da militari. Mercoledì sera sono arrivati in piazza anche i carri idranti.
«No al golpe parlamentare», è la consegna, insieme ad invettive contro il primo cittadino, assimilato alla dittatura.
L’attuale Magna Charta è stata promulgata nel 1989, all’uscita di una dittatura di 35 anni i cui strascichi si percepiscono chiaramente ancora oggi, con una classe politica clientelare e corrotta e, in particolare, un potere giudiziario e un potere legislativo gestiti in modo feudale dagli eredi del regime.
Per evitare lo tentazione del perpetuarsi al potere di chi avrebbe esercitato la presidenza, la Costituzione fu categorica nel proibire la rielezione. Ora oltre l’84% della popolazione sarebbe a favore di un secondo mandato consecutivo – e su questo fanno leva i parlamentari “golpisti” -, ma il “problema” è che la legge non lo permette.
Mentre Lugo è l’ex presidente con maggiore approvazione popolare, Cartes è agli antipodi, con oltre il 71% di disapprovazione, ma una “corte” assolutamente servile e la sua abitudine di comprare voti e persone (fatto persino ammesso pubblicamente da alcuni legislatori), gli permettono di sperare.
«In una democrazia, la maggioranza comanda», è lo slogan dei cartisti e dei lughisti. «No, comanda la legge», rispondono in coro tutti gli altri – politici e cittadini.
La Chiesa, insieme ad altre istituzioni, ha subito ripudiato le “manovre poco chiare” che hanno portato a questa situazione preoccupante.