Ucraina, la frattura mondiale
«Tutti sono capaci di parlare con san Francesco. È parlare con il lupo che è un problema. E poi bisogna dire che Putin negli ultimi mesi ha sbloccato molti problemi internazionali». Lo ha detto Romano Prodi, dopo un colloquio telefonico con Vladimir Putin. Il politico emiliano ha corroborato la sua ipotesi sostenendo che la Russia ha tolto le castagne dal fuoco agli Stati Uniti in Siria – sostanzialmente ha posto un freno al Daesh: «Ha avuto una grande intelligenza politica quando Obama si era impegnato per un intervento militare ma gli Stati Uniti non volevano fare un’altra guerra» −, e ha contribuito a evitare che il caso del nucleare iraniano diventasse una diatriba militare.
E ne ha avuto anche per l’Italia: «Ricordo che da un buon rapporto con Mosca dipendono centinaia di migliaia di posti di lavoro nel nostro Paese». Ha concluso la sua descrizione della telefonata con Putin, in un’intervista su Radio Capital, sostenendo come la diversità di vedute sul problema ucraino fossero enormi, perché Kiev è veramente un «ponte naturale» tra Europa e Russia: senza Europa, la Russia non diventerà mai un Paese veramente moderno». Lungimirante come sempre, Prodi si atteggia a “pontefice” – e non certo a portavoce di Putin, come qualcuno ha detto −, cioè a paladino dell’idea di pace come frutto di negoziati e di dialogo. Non solo dialogo, e non solo negoziati, ma entrambi in virtuosa spirale. Per questo s’è fatto paladino di negoziati ad oltranza: finché si tratta allo stesso tavolo non si getteranno bombe chimiche o atomiche sull’avversario.
Quel che si nota in questi ultimi giorni, all’inizio della terza settimana di guerra, è che, lungi dall’aver avvicinato le parti, la dialettica menzognera della violenza e la mediaticità che cerca il contrasto a tutti i costi, e non la vicinanza e la conciliazione, hanno scavato ulteriormente il fossato che esiste da tempo tra Occidente e Oriente nell’emisfero nord. Mosca, che avrebbe potuto diventare un ponte tra mondo occidentale (Giappone e Corea comprese) e mondo orientale (raggruppato sostanzialmente attorno a Cina, India e Indonesia), si è radicalmente spostata ad Oriente, in qualche modo tradendo la sua anima di Terza Roma, quindi nell’alveo della cultura mediterranea ed europea. Lo dicono l’aiuto militare richiesto a Pechino e l’accordo di vendita di petrolio sottocosto all’India di Modi, mentre i capitalisti cinesi stanno prendendo il posto degli oligarchi russi e si stanno comprando a basso prezzo i gioielli della produzione russa.
Si dirà: è Putin che l’ha voluto. Nulla di più vero, se teniamo conto in particolare degli ultimi mesi. La crescita di quella parte di russi che vogliono la pace è significativo indice di certe derive dittatoriali dello zar di Russia. E più la guerra avanza, più il presidente russo è non solo indifendibile ma totalmente ingiustificabile. E la volontà di adesione a un consesso internazionale, come la Ue o anche la Nato, dovrebbe essere libera decisione di governi eletti democraticamente. Ma se andiamo appena un po’ indietro nel tempo e vogliamo essere onesti nell’analizzare le vicende storiche, vedremmo che anche le responsabilità occidentali nella crisi attuale sono non di poco conto, come già abbiamo scritto più volte: gli Usa in particolare hanno punzecchiato l’orso russo dal 1989 in qua senza prevedere che prima o poi il gigante avrebbe reagito. La serie delle provocazioni è lunga: adesione dei Paesi baltici alla Nato e all’Ue, progressivo avvicinamento di Finlandia all’Occidente, sostegno economico e talvolta logistico alle proteste scoppiate in Bielorussia, Ucraina, Kirghizistan, Ucraina… E, ancora, la doppia guerra di Georgia, la crisi del Nagorno Karabakh… Ci immaginiamo cosa avrebbero fatto gli Stati Uniti se la Russia o la Cina avessero lavorato per destabilizzare, ad esempio, il Messico o il Canada? La domanda non è capziosa, rispondiamo, please, senza preconcetti ideologici. Insomma, Putin sbaglia di grosso, ma qualche erroretto l’avrà pure fatto l’Occidente.
Il dialogo tra popoli non è una faccenda di poco conto. Richiede attenzione da parte dei politici e ha bisogno di un supporto adeguato da parte della propaganda mediatica, che tendenzialmente divide e non avvicina, anche grazie agli algoritmi della rivoluzione mediatica. La distanza siderale che sembra oggi esistere tra Occidente e mondo cinese, indiano, indonesiano e ora russo – le incomprensioni sono alimentate da linguaggi e vocabolari incompatibili − non è per nulla una buona notizia per chi crede alla fondamentale fraternità universale. L’Occidente deve essere cosciente che la crisi ucraina sta portando con sé un pauroso scavo della distanza tra mondi che appaiono incompatibili. Ma che non lo sarebbero, se si capisse che negoziato dapprima e dialogo poi sono elementi indispensabili per evitare una nuova guerra fredda planetaria. Sperando che non diventi calda.
In questa frattura, un posto in prima fila hanno le religioni e i grandi sistemi di pensiero. Se l’Occidente pensa che i valori della libertà e dell’uguaglianza, dei diritti umani, quindi della democrazia, siano al colmo della propria way of life, e se l’Oriente pensa invece che la coesione identitaria e popolare sia da privilegiare prima della democraticità effettiva dei governi, si va verso uno scontro a 360 gradi. Sono gli elementi spirituali (quelli religiosi ne fanno parte) che potrebbero avvicinare mondi così diversi evitando di conseguenza che anche le diversità proprie dei due campi (Cina e India, ad esempio, sono due universi diversissimi, così come Usa e Francia o Germania e Messico) vengano gommate in favore di un muro contro muro. L’unità di un blocco determinata dallo scontro è un’unità bacata, che non reggerà. L’unità ha da essere plurale: quando diventa monolitica, la guerra scoppia naturalmente.