Tonadico: un’estate di Luce
In occasione del settantesimo anniversario del “Paradiso ‘49”, esperienza mistica straordinaria vissuta da Chiara Lubich e da lei condivisa con Igino Giordani e il primo gruppo di focolarine e focolarini, Città Nuova pubblica “Verso un’estate di luce” a cura di Silvio Cataldi e Paolo Siniscalco. Sulla base di fonti edite e inedite, il saggio delinea il contesto ecclesiale e civile del secondo dopoguerra e ripercorre i luoghi che ospitarono l’evento e i testimoni che ne furono partecipi. Pubblichiamo qui un estratto che, attraverso la viva voce dei suoi protagonisti, racconta quei giorni:
«Tutte partiamo per Trento onde rifarci delle fatiche romane e ritemprarci anche spiritualmente. […] La Luce che Egli ci ha dato ci guidi sempre». Così Chiara Lubich il 22 giugno 1949 annuncia in una lettera a Dina Fedrizzi, una giovane che aveva espresso il desiderio di seguirla nella via del focolare, l’imminente trasferimento da Roma a Trento – e di lì successivamente a Tonadico di Primiero – per un periodo di riposo, dopo mesi di intensissima attività che la nascita e la diffusione delle comunità dei Focolari a Roma e in altre zone d’Italia aveva richiesto.
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La Lubich non poteva certo immaginare che nell’incantevole ambiente montano avrebbe vissuto e condiviso con Igino Giordani e il primo gruppo di focolarine e focolarini un periodo di illuminazioni mistiche.
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In quei giorni giunge a Trento Igino Giordani, il quale, animato dall’aspirazione alla santità, propone a Chiara di legarsi a lei con voto di obbedienza. A tale richiesta Chiara risponde: Tu conosci la mia vita: io sono niente. Voglio vivere, infatti, come Gesù Abbandonato che si è completamente annullato. Anche tu sei niente perché vivi nella stessa maniera.
Ebbene, domani andremo in chiesa ed a Gesù Eucaristia che verrà nel mio cuore, come in un calice vuoto, io dirò: «Sul nulla di me patteggia tu unità con Gesù Eucaristia nel cuore di Foco. E fa in modo, Gesù, che venga fuori quel legame fra noi che tu sai». Poi ho aggiunto: «E tu, Foco, fa altrettanto».
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«Non si potranno mai cancellare dall’animo tanti luoghi divenuti sacri per noi in tutta quella regione dolomitica, perché legati alle tappe del “Paradiso” […] Tonadico fu il nostro Tabor veramente!»: parole semplici e dense di significato con cui uno dei primi focolarini, Aldo Stedile, testimone diretto dei giorni dell’estate del ’49, comunica un dato di primaria importanza: il vissuto di quel periodo di intensa esperienza mistica, condiviso con Chiara Lubich, segnò in modo indelebile il primo gruppo di focolarine e focolarini che ne furono partecipi, e costituì un patrimonio comune unico e imprescindibile.
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La contemplazione si fondeva con le attività più ordinarie:
Una volta sbrigate le faccende di casa – racconta ancora Vittoria – passavamo fuori il resto della giornata, salivamo per i boschi e per i prati, in lunghe gite in montagna. Andavamo insieme e, lungo il cammino, conversavamo. […] Se sostavamo per un pic-nic, o se ci accomodavamo all’ombra di un albero o su di un prato, lei cominciava a parlare e noi le stavamo sedute tutt’attorno. Ci riposavamo e costruivamo l’unità tra noi, cioè ci amavamo in modo ‘soprannaturale’. Eravamo sempre in Dio, con semplicità. Si cominciava dal naturale, perché siamo su questa terra. Ma il ‘soprannaturale’ da solo non esisteva perché tutto era naturale e tutto era soprannaturale. Natura e sopranatura erano un tutt’uno per noi.
Con accenti poetici Igino Giordani esprime la medesima esperienza:
Chiara amava condurre su per le giogaie alpine le sue pope. Pur gracile e inferma spesso, saltava agile e saliva rapida, sì che era difficile tenerle dietro. […] Tra gioghi, all’ombra delle conifere, sotto rocce, possibilmente presso icone o santuari, ella parlava di Dio, della Vergine, della vita soprannaturale: la soprannatura era la sua natura. […] E allora quelle foreste si trasfiguravano in cattedrali, quelle cime parevano picchi di città sante, fiori ed erbe si coloravano della presenza di angeli e di santi: tutto si animava di Dio.
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Nell’estate del ’49, le passeggiate, il gioco, il canto erano in profonda sintonia con le altissime intuizioni spirituali. Luigina Nicolodi ci ha trasmesso ricordi molto vividi di una «festa perenne»; le passeggiate lungo i prati, i canti a più voci, con parole rivolte a Gesù, a Maria, su motivi noti o armonie alpine. Il clima di unità profonda, «sempre con l’anima in alto», permeava anche il gioco, parte integrante della vita di quelle giornate:
Un giorno, pescando a sorte i bigliettini che avevamo preparato – racconta Luigina – a ciascuna di noi toccò ricevere una litania della Madonna che Chiara ci spiegava. Per noi significava protendersi a quello scopo, era il “nostro dover essere”, dicevamo. A me capitò l’invocazione Janua Coeli, Porta del cielo. Mi parve meraviglioso poter essere per molte persone una porta aperta e l’accesso al cielo per loro, come mi fu chiarito. Un giorno eravamo in dodici, così ci assegnammo i nomi dei dodici apostoli. A me arrivò quello di Giuda Taddeo che però non mi garbò per via di quel nome, Giuda. Ebbene, Chiara me lo fece amare giacché mi ricordò che Giuda Taddeo «era cugino di Gesù».
In un’altra occasione si distribuivano i nomi dei fiori, secondo le caratteristiche della persona: a Lia la rosa, a Graziella il girasole, a Bruna la negritella, ad Aldo un balcone di gerani, a Marco il rododendro; Chiara stessa ricordava come a lei fosse stata accostata la stella alpina (edelweiss), fiore tipico delle altitudini.
Il gioco continuava con soggetti di volta in volta diversi, ma sempre – commenta Luigina – «come un insegnamento che ci orientava intimamente a Dio». Immersi nella densità spirituale dell’estate del ’49 i focolarini e le focolarine condividevano pienamente l’esperienza di luce che da Chiara scaturiva e ciascuno era parte vitale del corpo che partecipava dell’insolita ascetica comunitaria, di cui cogliamo l’essenza dalle parole di Marilen Holzhauser:
È stato un periodo veramente straordinario. Volevamo essere un’anima sola, era questa la nostra unica preoccupazione: un’ascetica forte, ma vissuta insieme. Ogni giorno, dopo la Messa, Chiara ci raccontava la nuova comprensione che aveva ricevuto dell’Ideale. Questa luce ci illuminava e ci avvolgeva tutte.
Da VERSO UN’ESTATE DI LUCE. La cornice storica dell’esperienza mistica di Chiara Lubich nel 1949, a cura di Silvio Cataldi e Paolo Siniscalco (Città Nuova, 2019)
pagine: 240 – prezzo: € 18,00
Il libro Verso un’estate di luce viene presentato stasera a San Martino di Castrozza alle 20 e 30 presso la tenda dell’Hotel Majestic nell’ambito della Mariapoli europea. Ingresso aperto a tutti.