Theresa May supera il voto di sfiducia

L’accordo raggiunto tra Gran Bretagna e Unione europea non ha l’appoggio di tutti i membri del partito conservatore e, così, Theresa May è costretta a rinviare la discussione alla Camera dei Comuni ed a subire un voto di sfiducia, che ha superato.
AP Photo/Tim Ireland

Il premier britannico, Theresa May, ha preso la decisione di rinviare la discussione dell’accordo Brexit, raggiunto tra il Regno Unito e l’Unione europea (UE), prevista per l’11 dicembre alla Camera dei Comuni. La scelta è stata inevitabile, in considerazione del fatto che molti deputati conservatori avrebbero votato contro l’accordo Brexit, umiliando May e mettendo in crisi la sua leadership dei Tory, in realtà già compromessa, come plasticamente dimostrato dalle risate dei deputati dopo il suo annuncio in aula.

Nella serata del 12 dicembre, May ha anche superato il voto di sfiducia richiesto da 48 deputati conservatori presenti alla Camera dei Comuni, per 200 voti contro 117. Il risultato non è incoraggiante ma, se si pensa che nel 2016 aveva ottenuto la guida del partito con 199 voti, significa che il sostegno dei deputati conservatori resta immutato. May ha però assicurato che non si ricandiderà alle elezioni previste nel 2022.

Il folto gruppo di conservatori contrari all’accordo così come negoziato a Bruxelles comprende molti deputati definiti come hard Brexiters, cioè coloro che sono fortemente contrari all’UE e che ritengono che l’accordo abbia di Brexit solamente il nome ma, di fatto, esso conservi molti legami con l’UE e presenti molte incertezze.

Le incertezze riguardano in particolare lo status dell’Irlanda del Nord e il cosiddetto backstop, cioè quel regime transitorio a tempo indefinito per evitare il ripristino un confine fisico tra l’Irlanda e Irlanda del Nord, come sancito dagli Accordi del Venerdì Santo che posero fine a quasi 30 anni di violenze e attentati. Infatti l’accordo Brexit pone una questione sostanziale di sovranità: le norme dell’UE (e quindi anche la giurisdizione della Corte di Giustizia dell’UE) continueranno ad essere applicate in Irlanda del Nord, quindi su un territorio che sarà però parte di uno Stato non più membro dell’UE. Per molti conservatori questo è inaccettabile.

Certamente May, tra l’altro una sostenitrice del remain nell’UE ai tempi del referendum, ha commesso vari errori nel corso del suo mandato, probabilmente a seguito di cattivi consigli. Nell’ottobre 2016, in occasione del suo primo discorso da premier, aveva evocato la scissione più chiara possibile dall’UE, arrivando adesso ad un accordo che non è affatto chiaro. May avrebbe portato il Regno Unito fuori dal mercato unico europeo e dalla giurisdizione della Corte di Giustizia dell’UE. Nel gennaio 2017 May aveva anche parlato dell’uscita del suo paese dall’unione doganale con l’UE, cosa da molti alti funzionari britannici vista come impossibile o deleteria per il Regno Unito. Ebbene, May ha dovuto fare molti passi indietro ed è uscita indebolita dalle elezioni del 2017 che aveva chiesto per avere un forte mandato popolare, riemanando a casa molti deputati conservatori che sono tuttora scontenti.

Il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha convocato per giovedì 13 un Consiglio europeo straordinario per discutere di come facilitare la ratifica dell’accordo Brexit da parte del Regno Unito, ma non per ridiscuterne il contenuto o il backstop. Indubbiamente, l’UE ha tutto l’interesse a vedere l’accordo approvato dalla Camera dei Comuni e ad avere May come interlocutore, ma se May intendesse rinegoziare l’accordo, cosa improbabile, sarebbero rimessi in discussione lo status di Gibilterra ed i diritti di pesca. Addirittura Emmanuel Macron ha dichiarato, forse incautamente, che potrebbe mantenere il backstop finché il Regno Unito non permetta ai pescherecci francesi di pescare nelle acque britanniche. Nel frattempo, il leader dei laburisti, Jeremy Corbyn, è pronto a presentare una mozione di sfiducia verso May, ma ancora non si palesa un sostengo sufficiente per farla approvare dalla Camera dei Comuni.

Incertezza e confusione sono gli unici punti fermi della questione Brexit, ma forse un accordo, qualsiasi esso sia, è sempre meglio di un non-accordo che aprirebbe la strada verso una terra incognita che danneggerebbe sia il Regno Unito che l’UE, in un momento nel quale la crescita economica sta rallentando.

 

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