Tav, la ricerca di un vero dialogo
Chi conosce la Valsusa sa che di Tav si parla ormai da più di 30 anni e che nei primi anni ’90 è nato il movimento contrario alla realizzazione dell’opera che ha assunto dimensioni via via sempre maggiori. Alla base della protesta vi sono motivazioni sia di carattere oggettivo sia di carattere ideologico. Del primo gruppo fanno parte le obiezioni mosse ai promotori dell’opera, mentre del secondo rientrano le motivazioni di carattere storico e politico di chi non ha potuto avere con lo Stato un reale confronto sulle opportunità e modalità di realizzazione della linea.
Entriamo nel dettaglio. Spesso si sente affermare che la tratta Torino-Lione sarebbe parte di un più ampio progetto di collegamento attraverso treni ad alta velocità: il cosiddetto “Corridoio 5 Lisbona – Kiev”. La verità è che, a oggi, non è stata ancora presa una decisione definitiva in merito al finanziamento complessivo di tutta l’opera da parte del Parlamento europeo. Tant’è che non si parla più di “Corridoio 5”, poiché sia il Portogallo che l’Ucraina si sono già ritirati da tempo e neanche la Slovenia ha ancora confermato l’intenzione di finanziare l’opera (vedi il libro-inchiesta di Andrea De Benedetti e Luca Rastello dal titolo Binario morto).
A sostegno del progetto vi erano le previsioni di incremento di traffico merci sulla linea Italia-Francia che però non hanno avuto riscontro. Infatti, i dati riportati dall’Osservatorio istituito presso la Presidenza del Consiglio confermano che nel 1994 dal tunnel ferroviario del Frejus passavano 7,6 milioni di tonnellate merci, nel 2017 solo circa 3 milioni.
Nella relazione viene quindi riconosciuto che «molte previsioni fatte 10 anni fa, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali dell’Unione europea, sono state smentite dai fatti». Questi dati sono utilizzati anche da chi si fa promotore dell’opera attribuendo la colpa del calo delle merci alla struttura ormai obsoleta della linea attuale. Tuttavia, se si includono nell’analisi anche le merci trasportate su gomma, i dati confermano che gli attuali flussi di traffico delle merci non risultano essere in aumento. Il Quaderno 11 dell’Osservatorio Torino-Lione afferma che, nel 2008, circolavano tra Francia e Italia 45,4 milioni di tonnellate merci, quantità più o meno simile a quella attuale.
Discorso diverso vale per i traffici ai confini con Svizzera e Austria; da uno studio del 2014 pubblicato dal Dipartimento federale dei trasporti, si evince un considerevole aumento negli ultimi anni dei flussi sull’asse europeo Nord-Sud. Questo fenomeno troverebbe una spiegazione nel fatto che le direttrici longitudinali collegano il cuore dell’Europa con i porti della sponda Nord del Mediterraneo e da lì con l’estremo Oriente (Cina e Sudest asiatico). Viceversa l’asse Est-Ovest collega mercati intereuropei fra loro simili e in condizioni di saturazione materiale.
Altro aspetto che genera molta incertezza sono i costi. Il costo dell’intera opera è stato determinato dalla Corte dei conti francese nel 2012 in 26 miliardi di euro, di cui 8,6 miliardi destinati alla tratta transnazionale (per la quale è previsto un finanziamento europeo pari, nella ipotesi più favorevole, al 40 % del valore e cioè a 3,32 miliardi di euro).
Questo però a prescindere dalla prevedibile dilatazione dei costi effettivi rispetto a quelli preventivati (basti pensare che il 28 febbraio 2018 il CIPE ha portato a 6,3 miliardi di euro il «costo complessivo di competenza italiana per la sezione transfrontaliera», indicato poco più di due anni prima in 2,56 miliardi).
Risparmi invece si avrebbero nel caso di uscita dall’opera che, contrariamente a quanto dicono i pro TAV, non prevedrebbe penali. Infatti, il grant agreement sottoscritto tra Francia, Italia e UE nel 2015 prevede «sanzioni pecuniarie e amministrative» in caso di comportamenti fraudolenti e irregolari, ma l’articolo 16.4.2 dell’accordo afferma che «nessuna delle parti è autorizzata a chiedere un risarcimento in caso di risoluzione dell’opera di un’altra parte».
In aggiunta a queste motivazioni di carattere più tecnico va tenuta in considerazione soprattutto la storia che ha portato a una crescita così elevata i consensi sul fronte No Tav. La mancanza di una reale volontà, da parte dei governi che si sono susseguiti negli anni, di discutere sui termini di realizzazione dell’opera, ha portato a un crescente aumento della protesta in Valsusa, che si è cercato di far tacere con atti di forza sproporzionati (espropri di terre per i cantieri, custodie cautelari preventive, carcere di isolamento prima della condanna, multe salatissime per dissenso − vedi il caso del “barbiere di Bussoleno” – e così via).
La strategia adottata dallo Stato ha infatti portato a una forte contrapposizione tra gli stessi enti locali e gli organi amministrativi decentrati. Sono ancora vivi nella mente di tutti i valsusini gli inviti che venivano fatti dalla polizia locale dei vari comuni a prendere parte alle manifestazioni di protesta spontanee nate dopo lo sgombero del presidio di Venaus avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2006, nel quale molti manifestanti, tra cui donne e anziani, vennero feriti dalle forze dell’ordine. Questa spaccatura aperta con lo Stato, che si sarebbe dovuta rimarginare con l’istituzione dell’Osservatorio sulla Torino-Lione, è ancora aperta a causa dell’ennesima dimostrazione della mancanza di voler istituire un dialogo autentico. Degli 8 sindaci convocati all’Osservatorio, hanno potuto partecipare solo 3 sindaci contrari all’opera, rispetto alla maggioranza di 5 favorevoli.
Oggi il Movimento No Tav raccoglie adesioni in tutta Europa ed è ancora più forte e coeso che vent’anni fa, poiché rappresenta non più la sola lotta contro la realizzazione di un’opera, ma lo scontro ideologico e politico contro un modello – quelle delle grandi opere e della minimizzazione o repressione del dissenso – che non piace. Il livello di militarizzazione e controllo sulla Valsusa è già alto; alzarlo ulteriormente significherebbe uscire ampiamente dai limiti di libertà richiesta da uno Stato di diritto.
A prescindere dall’esito di un’analisi (non la prima) costi-benefici, la soluzione non può passare ancora per un testa a testa. Deve invece essere riconosciuta la storia di questo conflitto e, magari, col dialogo e il compromesso politico, trovare un punto di incontro. Altrimenti tutta la discussione e questo articolo rimangono retorica, poiché oggi tutti esperti di Tav, ma domani, quando le ruspe e la polizia entreranno in Valle, sarà la solita storia.
Leggi anche Torino e la Tav, di Alberto Ferrucci
Fonti
Andrea De Benedetti e Luca Rastello, “Binario morto. Lisbona-Kiev. Alla scoperta del Corridoio 5 e dell’alta velocità che non c’è” ed. Chiarelettere 2013
Wu Ming, “Un viaggio che non vi promettiamo breve” ed. Einaudi 2016
Maria Chiara Giacosa; Marco Trabucco, Alta velocità, al tavolo col governo solo i comuni pro-Tav cari alla maggioranza, in Il Fatto Quotidiano, 3 maggio 2011. URL consultato il 1º agosto 2011.
Quaderni dell’ Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione http://presidenza.governo.it/osservatorio_torino_lione/quaderni.html
Cour des comptes – objet: référé sur le projet de liaison ferroviaire Lyon – Turin. 1 AOUT 2012 https://www.ccomptes.fr/sites/default/files/EzPublish/RF_64174_Projet_liaison_ferroviaire_Lyon-Turin.pdf#page=4
“Alpinfo 2014 Traffico merci su strada e per ferrovia attraverso le Alpi”. Dipartimento federale dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni DATEC