Svolta sulle armi italiane per la guerra in Yemen?

Una convergenza inaspettata di 4 mozioni di diversi partiti prendono atto, alla Camera, dell’intollerabile coinvolgimento dell’Italia nella fornitura di armi alla coalizione saudita. Discussione a Montecitorio dalle ore 11 di mercoledì 26 giugno. Nodo riconversione economica al pettine

Mercoledì 26 giugno 2019 alle ore 11 il primo punto all’ordine del giorno dei lavori della Camera dei deputati riguarderà la discussione di 4 mozioni che chiedono di interrompere o almeno sospendere l’invio di armi destinate al conflitto in corso nello Yemen. Siamo davanti ad un punto di svolta? I segnali sono tanti.

Dai portuali alle tv

Dopo la mobilitazione dei portuali genovesi, che hanno impedito il carico di armi e componenti tecnologici sulle navi cargo saudite, e la sentenza della corte d’appello britannica che ha imposto lo stop al trasferimento di armi verso l’Arabia Saudita, per il collegamento con il conflitto in corso nello Yemen, si è mosso anche il tg de La 7. Il direttore Enrico Mentana ha annunciato di sostenere la campagna di tante associazioni in corso da anni che chiede il rispetto delle norme che impongono di non vendere sistemi d’arma a Paesi in guerra oltre a quelli che violano i diritti umani. Anche la Rai si è esposta da tempo con il tg3 e i dettagliati servizi di Nico Piro che ha avuto il merito di dare spazio all’impegno della società civile che, a cominciare dalla Sardegna, non si limita a protestare ma propone e richiede soluzioni alternative al ricatto occupazionale imposto ad un territorio in forte crisi economica.

È ovvio ma da non tralasciare, oltre alle denunce del programma Le iene su Italia 1, l’attenzione di Tv2000 e, per restare ai quotidiani, di testate come Manifesto e Avvenire. Ed è dal foglio diretto da Marco Tarquinio che è partito l’invito della sindaca di Assisi, Stefania Proietti, a promuovere una mozione nei consigli comunali delle città italiane per promuovere un reale confronto, oltre le parti, sulla responsabilità del nostro Paese davanti al concorso in una guerra dove si giunge a colpire scuole e ospedali. Il 24 giugno il consiglio comunale di Città di Castello è stato il secondo in Umbria ad adottare la “mozione Assisi” dopo che giù una ventina di città grandi e piccole, a partire da Roma, hanno votato un’istanza rivolta ad un governo e parlamento finora refrattario, nella sua maggioranza, ad ogni richiesta di interrompere ogni fornitura di armi a quello che resta un cliente di tutto riguardo, alleato con gli Usa, e secondo acquirente di armi nel mondo.

Bombe ai sauditi, punta di un iceberg

È evidente che la questione delle bombe prodotte in Italia da una società controllata da una multinazionale tedesca per essere destinate in Arabia Saudita, rappresenta solo il caso esemplare e il punto di fragilità di un mercato che impone regole e obbedienze di vario genere in un mondo dove vige la “geopolitica del caos” per usare la definizione in uso tra gli esperti. Un pianeta assediato da una crisi ambientale che ne minaccia l’esistenza, ma che ha registrato una spesa militare, come riporta il Sipri di Stoccolma, di 1.822 miliardi di dollari nel 2018 (erano 1.739 nel 2017).

Rappresenta, perciò, un segnale fuori dall’ordinario l’arrivo nella discussione in aula a Montecitorio di alcune dettagliate mozioni distinte di deputati di diversi partiti che chiedono lo stop o almeno la sospensione dell’invio di armi destinate ai Paesi coinvolti nel conflitto in corso dal marzo del 2015. La prima mozione di Liberi e Uguali chiede che sia applicata la legge 185/90 anche con riferimento alla riconversione industriale destinando un «adeguato stanziamento pluriennale e destinando almeno il 70 per cento di tale importo alle attività di riconversione dell’industria bellica, anche per sottrarre i lavoratori e le comunità al «ricatto occupazionale» causato da questo tipo di produzioni in territori con alti livelli di disoccupazione».

Fraternità e realismo politico

Anche i parlamentari di Fratelli d’Italia chiedono di «sospendere le esportazioni di bombe d’aereo e relativa componentistica verso l’Arabia Saudita fino a quando non vi saranno sviluppi nel processo di pace per lo Yemen» prevedendo «la destinazione di specifici incentivi, la differenziazione dei materiali d’armamento prodotti dalle aziende del settore, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali». Anche il Partito democratico plaudendo all’iniziativa dei portuali genovesi ai quali non si può caricare il peso delle «decisioni che deve invece prendere il Governo» che deve «adottare iniziative per sospendere tutte le forniture di armi e materiali d’armamento, utilizzabili per il conflitto, ai Paesi coinvolti direttamente nella guerra in Yemen» come già deciso da altri Stati europei. Anche i 5 stelle, esponenti della componente maggioritaria del governo Conte, nella loro mozione, firmata anche da esponenti della Lega, chiedono di «sospendere le esportazioni di bombe d’aereo e missili che possono essere utilizzati per colpire la popolazione civile e loro componentistica verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sino a quando non vi saranno sviluppi concreti nel processo di pace con lo Yemen». Una volontà politica che sembra rafforzata dal capogruppo M5S in commissione Esteri, il sardo Pino Cabras, secondo il quale «i rappresentanti del popolo italiano prendono a cuore con fraternità e realismo politico la sorte di un popolo martoriato (quello yemenita, ndr), che ha bisogno di più dialogo e diplomazia e meno armi distruttive intorno e sopra la sua terra».

Ragion di stato

Sembra, quindi, che, anche alla Camera, ci siano, al contrario di quanto avvenuto nel 2017, segnali di quella unanimità registrata inaspettatamente nella gran parte dei comuni che hanno approvato la Mozione Assisi.  Una scelta che nasce da una presa di posizione crescente, dal comitato riconversione Rwm alle associazioni nazionali fino ai portuali di Genova, che dovrà fare i conti con la cosiddetta “ragion di Stato”. Resta aperto il nodo della riconversione economica, citato in qualche mozione, che chiama in causa la scelta di politiche industriali coerenti. Le uniche in grado di contrastare altre temibili armi, che si chiamano delocalizzazioni e licenziamenti, utilizzate da coloro che sembrano sciolti da ogni regola e vincolo.

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