Supercoppa e bombe, la rivincita da giocare
Juventus e Milan hanno disputato senza problemi la partita della supercoppa a Gedda, in Arabia Saudita, mercoledì 16 gennaio 2019. Nessuno ha mai immaginato seriamente di poter impedire un evento strettamente legato a forti interessi e alleanze internazionali dell’Italia.
Nel 1976, in un Paese molto differente da quello attuale, la sincera e diffusa indignazione popolare contro il regime di Pinochet, con tanto di occupazione delle federazioni sportive, non impedì alla nostra nazionale di tennis di giocare la finale della coppa Davis a Santiago del Cile.
Panatta e gli altri indossarono una maglietta rossa della Fila come gesto simbolico di protesta. Per chi lo comprese. Mimmo Calopresti lo ha raccontato pure in un film. Sembra che anche fonti dell’opposizione cilena consigliarono di non boicottare la competizione per non rafforzare la dittatura.
Anche oggi alcuni intellettuali hanno chiesto ai giocatori delle due squadre di inventarsi almeno una mossa del genere, che avrebbe maggiore visibilità mondiale al tempo dei social. Chissà in che mondo credono di vivere i giocatori della macchina milionaria dello sport.
Sicuramente ci sarebbero state ripercussioni pecuniarie e di immagine per i proprietari dei due club e per la Federazione Gioco Calcio.
Come afferma Alberto Negri, maestro del giornalismo, «confortate dalla presenza di 15mila donne allo stadio, le cronache dei media italiani della Supercoppa di Gedda, hanno sorvolato sul fatto che l’Arabia Saudita è un Paese in guerra nel confinante Yemen e uccide migliaia di civili, un massacro che noi sosteniamo con le bombe fabbricate in Italia..scopriamo così che ai sauditi abbiamo venduto oltre a una finale di calcio anche la dignità di una parte (non tutta) dei nostri media pubblici e privati».
Gaetano Miccichè, banchiere dalla prestigiosa carriera, ha ritenuto opportuno scrivere, come presidente della Lega di serie A, una lettera aperta a tutti i tifosi e appassionati di calcio per ricordare che l’evento è il frutto di una scelta condivisa da tutti i presidenti della massima divisione, ribadendo che «il calcio fa parte del sistema culturale ed economico italiano e non può avere logiche, soprattutto nelle relazioni internazionali, diverse da quelle del Paese a cui appartiene. L’Arabia Saudita – ha precisato – è il maggior partner commerciale italiano nell’area mediorientale grazie a decine di importanti aziende italiane che esportano e operano in loco, con nostri connazionali che lavorano in Arabia e nessuno di tali rapporti è stato interrotto».
Una chiarezza di posizione da apprezzare perché contribuisce a mettere in evidenza la responsabilità della politica nazionale nel non aver finora interrotto l’invio dal nostro Paese di bombe verso l’Arabia Saudita, stato impegnato a guidare una vasta coalizione militare nel conflitto in Yemen.
Una guerra che ha provocato disastri immani, con migliaia di vittime civili, colpite perfino al riparo di scuole e ospedali, come denunciato in più sedi, a partire dai rapporti Onu e da una serie di risoluzioni, finora disapplicate, del Parlamento europeo.
Cambiano governi e maggioranze parlamentari ma la situazione non muta. Come è stato ribadito lucidamente dal centro studi Machiavelli, vicino al sottosegretario all’economia Picchi, la vera competizione strategica che interessa l’Italia in Arabia Saudita e in Medio Oriente è quella che ci vede in concorrenza con la Francia.
Bisogna studiare con attenzione la notevole prospettiva del rapporto Saudi Vision 2030, elaborato dalla statunitense Mc Kinsey, per capire l’importanza complessiva della posta in gioco.
Juve – Milan «si gioca per il dio denaro» come dice Beppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della Stampa, che è in linea con il sindacato dei giornalisti Rai (Usigrai) giunto a promuovere un presidio di protesta nei pressi dell’ambasciata saudita nel quartiere Parioli a Roma.
Pesa ovviamente il caso del recente brutale omicidio, avvenuto in Turchia, del famoso dissidente saudita, il giornalista Khashoggi, molto critico tra l’altro della guerra in Yemen, corrispondente per il Washington Post.
Resta da capire cosa poter fare per non restare indifferenti dopo il fischio finale della partita di calcio.
Di fronte al muro di gomma delle istituzioni centrali, resta il senso e il valore delle città dove, come ad Assisi poi Cagliari seguita da Bologna, non si ha timore di sembrare velleitari nel votare mozioni che chiedono, prima di tutto, di fermare le bombe destinate a cadere sulla popolazione yemenita.
Ma anche di investire per una sana riconversione della nostra economia che non può dipendere da tali commesse. Come chiede ostinatamente il Comitato riconversione Rwm.
Un elementare esercizio di sovranità popolare per cittadini chiamati, altrimenti, ad essere esclusi dalle scelte che contano, quelle di politica economica, industriale e internazionale.
Anche a Roma, associazioni e movimenti presenteranno le ragioni di un tale impegno nel palazzo del Campidoglio il prossimo 28 gennaio.
Con tutte le sue millenarie contraddizioni, la “città eterna” esprime l’intuizione di Giorgio La Pira sul destino eterno delle città: «tutte le città della terra: città, ripeto, capitali e non capitali; grandi o piccole, storiche o di recente tradizione, artistiche e no: tutte indistintamente, rivendicano unanimemente il loro inviolabile diritto all’esistenza: nessuno ha il diritto, per qualsiasi motivo, di distruggerle». Uno sguardo di fraternità verso tutti i popoli. La partita, forse, non è chiusa.