Che succede ad Oriente dell’Eufrate?

Il Daesh non è morto, come si crede. Vive nel deserto siriano (e iracheno), si finanzia con attività più o meno illecite, prende ostaggi. E, sullo sfondo, rimane la competizione Usa-Russia per la supremazia in Medio Oriente
AP Photo/lolita Baldor

Che succede in Siria ad Oriente dell’Eufrate? In Europa se ne parla ben poco al di fuori di ambiti specializzati. In Italia siamo troppo presi dalle diatribe sul Def e le conseguenti variazioni dello spread: abbiamo ben altro a cui pensare di quanto succede a sud-est di Deir Ezzor!

Eppure ci riguarda, riguarda tutti. Un segnale per noi un po’ strano, riportato dai media anche italiani, è stato un mezzo discorso fatto di recente dal presidente russo Vladimir Putin a Sochi, sul Mar Nero, in occasione del convegno annuale del Valdai Discussion Club, il think-tank internazionale dell’establishment moscovita.

I jihadisti del Daesh – avrebbe detto in sostanza Putin – nella zona siriana ad Est dell’Eufrate, di “competenza” Usa (che armano e sostengono gli arabo-curdi delle Sdf), hanno rapito 130 famiglie locali, circa 700 persone, tra le quali ci sarebbero anche americani ed europei, e minacciano di uccidere 10 ostaggi al giorno, anzi i primi 10 li avrebbero già uccisi. «È una catastrofe e nessuno stranamente dice nulla», avrebbe commentato il presidente russo.

Quello che Putin non ha detto sarebbe cosa vogliono i jihadisti in cambio degli ostaggi. Secondo alcune fonti non verificabili la richiesta sarebbe la liberazione di jihadisti prigionieri e addirittura il controllo di alcuni territori ad Ovest dell’Eufrate, nell’area petrolifera recuperata dai governativi siriani con l’aiuto russo e iraniano.

Secca e tombale la smentita del Pentagono: «Non ci sono informazioni in merito all’elevato numero di ostaggi denunciati da Putin e siamo scettici sulla sua esattezza».

Eppure qualcosa sta succedendo. Cercando di cogliere qualcosa di più, un primo punto appare abbastanza evidente: l’intenzione di Putin di lanciare l’ennesimo strale contro gli americani che secondo lui non stanno facendo abbastanza, diversamente dai russi, per combattere il terrorismo del Daesh.

Già, lo Stato islamico: ma non era stato sconfitto lo scorso anno con la caduta di Raqqa? In Europa, secondo le roboanti notizie diffuse dai media, la fine del Daesh è considerato un discorso ormai scontato o quasi. Invece da settembre scorso le Sdf hanno intrapreso la terza fase (Roundup) di Jazeera storm, l’azione militare per sconfiggere il Daesh in Siria, che quindi c’è ancora! L’area coinvolta è il triangolo meridionale della provincia siriana di Al-Hasakah, delimitato ad Ovest dall’Eufrate e ad Est dal confine siro-iracheno.

Uno studio recente dell’Institute for the study of war (Isw) di Washington confermerebbe paradossalmente la tesi di Putin: Daesh si sta riorganizzando, finanziandosi e rafforzandosi. Anche l’Isw è un think-tank, ma statunitense e di area hawkish (falchi), sostenuto, guarda caso, dai grandi appaltatori della difesa americana come DynCorp, Raytheon, General Dynamics…

Secondo l’Isw, Daesh potrebbe ancora contare in Siria e Iraq su 30 mila combattenti e si finanzierebbe attraverso riscatti ottenuti dai familiari degli ostaggi o tramite traffico di droga, ma anche con il riciclaggio di denaro tramite attività lecite come concessionari di automobili, negozi di elettronica, farmacie, cambiavalute.

Un segnale che fa pensare è, da agosto scorso, la diffusione da parte del Daesh di un nuovo report settimanale sugli attacchi in Iraq, Siria, Afghanistan, Egitto, Nigeria, Somalia e Filippine.

Un’ipotesi formulata da vari analisti è che gli Usa non vorrebbero attirare l’attenzione sull’area siriana oltre l’Eufrate, quella in cui le Sdf stanno combattendo contro i jihadisti del Daesh e più in generale sulla zona controllata dalle forze arabo-curde sostenute e armate dagli statunitensi.

Il motivo sarebbe l’insediamento di nuove basi americane, ulteriori rispetto alla vicina area di Al-Tanf che già tanto indispone russi, iraniani e governativi siriani.

Quale sarebbe la conseguenza, anche per l’Occidente, di questi wargames giocati sulla pelle delle famiglie e dei bambini, di donne e uomini, in Medio Oriente ma anche in Africa e nel Sud-Est asiatico? La crescita del terrorismo. Che non resterà confinato ma, c’è da scommetterci, continuerà ad espandersi.

Le armi non mancano o si sa comunque da chi procurarsele: le forniamo noi.

 

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