Scosse elettriche sui bimbi per falsi affidi
Se fosse vero sarebbe una grande catastrofe. Se le accuse della procura si rivelassero fondate, si darebbe un altro durissimo colpo, forse letale, all’ormai già fragilissimo sistema di tutela dei minori in Italia. Non perché l’indagine impiantata dalla procura abbia un valore cogente sul piano istituzionale o normativo, ma perché di altro fango non ci sarebbe proprio bisogno per screditare, all’opinione pubblica, il delicatissimo lavoro sociale, educativo e riabilitativo a favore di bambini e ragazzi privi di cure genitoriali idonee. Tutti possono sbagliare, se ci si mette in moto, se si esce dalla indolenza che guarda ma non vede. Il lavoro di tutela dell’infanzia è scomodo e rischioso, oltre che malpagato, e agita le emozioni e i sentimenti collettivi. Chi oggi decide di schierarsi dalla parte dei bambini trova ostacoli di ogni tipo: psicologici in primis, poiché la prima barriera sta dentro l’operatore che fa fatica a credere e ad accettare che un genitore possa sbagliare e che qui di un bambino vada protetto. Altri ostacoli sono di natura organizzativa e economica: servizi sociali precari e politiche sociali ridotte all’osso non consentono un lavoro sereno; in alcune regioni siamo ben sotto i livelli accettabili di personale dedicato, e i pochi operatori che vi lavorano, se non oramai invecchiati e stanchi, hanno sovente contratti di poche ore e a termine, il che significa spesso senso di impotenza e ricattabilità.
In questo scenario non si riesce a fare prevenzione, fatte salve le coraggiose esperienza locali che resistono grazie alla integrazione degli enti pubblici con un privato sociale qualificato e che spesso si autofinanzia. Ci sono poi ostacoli di natura culturale che credo siano i più pericolosi. La storia dell’infanzia è percorsa dalla cultura del mal-trattamento: in famiglia, a scuola, nelle istituzioni. Siamo stati (e ancora lo siamo nonostante i proclami sul benessere dei bambini, che spesso restano retorica o propaganda politica) attraversati, nei millenni, dalla considerazione che bambini e ragazzi siano un minus, da qui la parola minore, di cui il mondo adulto poteva servirsi a proprio piacimento. Si parla spesso di pedagogia nera per descrivere la reiterata e invasiva condotta genitoriale (e scolastica) di sottomissione dei bambini sia in senso fisico che psicologico. Altri tempi? Non ne sono certo, parlerei piuttosto di evoluzione del fenomeno che, oltre ad albergare ancora nelle pieghe di contesti sociali deprivati trascuranti o mal-trattanti, si è insediato nella “normalità” di famiglie cosiddette perbene che hanno abdicato alla loro funzione educativa (altra forma meno eclatante di mal-trattamento).
Se dunque fosse vero quanto ha portato all’arresto cautelare di operatori e amministratori locali nell’inchiesta Angeli e demoni, sarebbe un suicidio per tutti noi operatori che facciamo fatica a sopravvivere, da decenni, alle accuse infamanti dell’opinione pubblica che ha sempre fatto problema ad accettare che un bambino maltrattato debba essere allontanato dai suoi genitori ferme restando le azioni di sostegno preventivo, se possibili, e il tentativo di riabilitazione dei genitori. Fa bene la procura ad indagare se ci sono sospetti di illeciti; fa benissimo, anche se le accuse sono rivolte ad operatori e a centri di grande spessore scientifico e operativo, come il Centro Studi Hansel e Gretel di Torino, uno dei centri che ha contribuito a fondare il sistema di buone pratiche di tutela in Italia. Ma si tratta appunto di indagini, non ancora di condanne.
L’opinione pubblica invece è talvolta spietata e condanna anche senza processo. Lo fa in nome di quella pedagogia nera? In parte sì, perché chi non può accettare che un genitore possa essere mal-trattante, e che quindi la famiglia non sia sempre quel luogo “sacro” e inviolabile che tutti vorremmo, fa presto a mandare al rogo chi invece si spende per tutelare i bambini schierandosi dalla loro parte. E la ferocia dei social e dei new media rende virulento e cattivo questo attacco, emettendo sentenze sommarie e spesso acritiche.
Ci sono però anche problemi di strumentalizzazione politica. Nel clima attuale di sospetto e di degrado morale in cui siamo immersi in Italia, che ci mette l’uno contro l’altro annullando le opinioni diverse, è facile che gli indagati divengano boccone facile per predatori dell’audience e dei likes, diventando condannati virtuali prima ancora che reali. Di questo la bassa caratura dei nostri politici si nutre, ed il facile vizio di strumentalizzare di chi forse ha sbagliato diventa un’arma per affermare il proprio colore politico. Come se esistesse, nella tutela dei bambini, un colore politico. E quando l’opinione politica dominante decide chi è cattivo e chi sarebbe invece il buono, il suicidio per il sistema di tutela è iniziato poiché viene gettato a mare chi, essendo legato idealmente ad una certa cultura operativa, viene inglobato politicamente e poi fatto fuori. Mi colpisce a tale proposito che tanti giornali stiano evidenziando più quale sia il partito politico del sindaco indagato che non le sue presunte responsabilità. Così come mi lascia molto amareggiato apprendere da altre fonti che l’arresto di uno degli indagati, Claudio Foti, benemerito della tutela in Italia, stia servendo per buttare a mare tutto il sistema culturale ed operativo cui lui aderisce, ad opera di un’altra comunità culturale da sempre a lui antagonista.
Tutti possono sbagliare e sta alla procura indagare ed al giudice eventualmente condannare. E se il tipo di accuse fosse riscontrato, la pena dovrà essere grave e esemplare. Sono di tale parere anche gli ordini professionali degli psicologi e degli assistenti sociali che dai fatti di Angeli e demoni hanno preso le distanze.
Ma evitiamo sentenze senza processo; non solo per rispetto all’uomo e alla verità. Facciamolo innanzitutto perché il vero problema non sta in eventuali e deprecabile errori di isolati operatori bensì nel credere che tutto il sistema sia malato e corrotto. Questo errore ci distrae: la verità accertata e documentabile, per ora, è che siamo un Paese che sta abbandonando le politiche per l’infanzia, sempre meno programmate e finanziate. Questo sarebbe il macroproblema su cui dovremmo veramente scandalizzarsi ed attivarci. Lasciando alla magistratura le cose che ad essa competono.