Santa subito, il docufilm di Alessandro Piva
Ci sono due storie dentro il bel documentario Santa Subito di Alessandro Piva, appena presentato alla Festa del cinema di Roma nella selezione ufficiale. La prima è quella luminosa di una ragazza in profonda relazione con Dio, di una giovane innamorata del cristianesimo e in cerca del modo migliore per vivere la sua fede. La seconda è quella tragica di una donna perseguitata da un uomo, da uno stalker, diciamo oggi, da qualcuno che per tre anni, giorno dopo giorno, dal 1988 al 1991, l’ha terrorizzata impedendole di vivere un quotidiano fatto di passione per la vita e per gli altri, per lo studio della medicina prima e della pedagogia poi, facoltà a cui era passata successivamente.
Entrambe le storie portano il nome di Santa Scorese, nata a Bari nel 1968, con una sorella alla quale era legatissima, Rosa Maria, un padre un poliziotto e una madre casalinga. Era sveglia, Santa, vivace, ricca di emozioni e di voglia di fare del bene. Frequentava assiduamente la parrocchia cercando di capire la sua strada: se farsi missionaria o meno, cercando di fare discernimento, ma spendendosi, nel frattempo, ogni giorno per il prossimo. Amava Renato Zero, le canzoni del Gen rosso e del Gen verde, portava il vangelo in giro per la sua città, sia con le attività che incarnandolo col suo carattere espansivo e solare. «Era volitiva – dicono alcune delle tante testimonianze raccolte dal regista – non si accontentava delle piccole cose». A scuola, racconta la sorella, un giorno un professore di filosofia mise 10.000 lire sulla cattedra e disse che le avrebbe date a chi gli avesse dimostrato una verità assoluta, convinto della sua inesistenza. Santa si alzò in piedi e disse che per lei la verità assoluta era Dio.
Eppure ci potevi parlare di tutto, ricorda un ragazzo con cui faceva volontariato nel cuore della Bari vecchia. Uno che non era credente, ma lo stesso con Santa si trovava benissimo: si sentiva accolto e compreso, e di lei porta ancora nel cuore, 28 anni dopo il suo assurdo assassinio, un ricordo profondo e dolce. Sì, perché il persecutore di Santa, un trentenne malato di mente che odiava morbosamente la religione cristiana, l’accoltellò sotto casa la sera del 15 marzo 1991. Lei morì poco dopo in ospedale, a soli 23 anni, per essere riconosciuta tragicamente come la prima vittima di stalking in Italia. Ma è stata anche riconosciuta come martire cristiana e come Serva di Dio, e indicata come testimone della fede nel corso del recente Sinodo per i giovani, perché la folle ossessione del suo omicida partiva proprio dalla fede vibrante, limpida e bellissima di Santa.
Per lei è stato avviato un processo di beatificazione e il titolo del documentario di Piva, Santa Subito, indica certamente questa strada, ma anche quella santità quotidiana, quel donarsi all’altro e abbandonarsi alla volontà di Dio che Santa ha vissuto senza aspettare, subito, appunto, senza dubbi, nel corso della sua vita. Lo testimoniano le tenere e intense lettere del suo diario, lo confermano le parole di amiche, sacerdoti e missionarie che hanno avuto modo di conoscerla; lo ribadiscono i corpi ormai fragili dei suoi genitori, costretti a subire e portare addosso per tutto questo tempo quella tragedia annunciata che ha strappato loro una figlia amata e innamorata della vita. Con una responsabilità, che forse, ancora prima che del carnefice, fu delle istituzioni, che sapevano tutto – perché Santa denunció ogni aggressione subita – ma che nulla fecero per evitare una morte così evitabile.
Sono importanti e toccanti, a proposito, le parole della sorella Rosa Maria, che parla di due vittime in questa incredibile vicenda: certamente, primariamente, Santa, ma anche il suo uccisore, che con i suoi ripetuti gesti plateali, negli anni, aveva come chiesto di essere fermato prima di poter fare veramente, irreversibilmente, del male a qualcuno. E qui la storia di Santa Corese diventa sostegno a tutte le donne minacciate in questo momento, terrorizzate oggi, impossibilitate a vivere liberamente i loro sogni. Il film si fa monito a proteggere chi vive una tale condizione di sofferenza, quegli stati d’animo messi su carta da Santa e letti da una voce femminile in questo documentario che é insieme, nella sua partecipata sobrietà, nel suo mettersi pudicamente in ascolto delle testimonianze, un’opera spirituale e civile, un film sulla bellezza della fede cristiana e un lavoro di denuncia, perché il racconto di quanto è accaduto a Santa Scorsese possa essere una lezione per il futuro.