Salute, virus e brevetti
Bene comune e brevetti. Vladimir Putin ha dichiarato di aver scoperto, in Russia, il vaccino, che tutti stanno cercando, per debellare il virus SARS-CoV-2. Lo ha chiamato Sputnik, per rievocare la conquista sovietica dello spazio degli anni ’50.
La comunità scientifica internazionale nutre seri dubbi sull’affidabilità di tali proclami, come per il “CanSino” annunciato dalla Cina. Ma il vaccino per il coronavirus rappresenta uno strumento di controllo e dominio geopolitico.
Conosciamo tutti la storia di Albert Sabin, il medico ebreo polacco (Abram Saperstein, il vero nome) che, sempre negli anni ’50 scoprì il vaccino contro la poliomielite, rifiutandosi di esercitare ogni diritto di proprietà per renderlo disponibile a tutti immediatamente per sconfiggere una patologia che colpiva i bambini.
Oggi sono vincolanti le regole sulla proprietà intellettuale stabilite dall’Organizzazione mondiale del Commercio (Wto), in base alle quali la società che brevetta un farmaco o un vaccino acquisisce un diritto esclusivo a metterlo in commercio per un periodo di 20 anni. Chi arriva per primo fissa il prezzo realizzando quei profitti necessari, secondo tale impostazione, a ripagare il costo degli investimenti e gli interessi degli azionisti. In tale impostazione gli Stati devono limitarsi a favorire la ricerca e acquisire le dosi del vaccino per renderlo accessibile a tutti, anche ai più poveri. Il settore è in mano, per l’80%, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, a 5 grandi società transnazionali: GlaxoSmithKline (Regno Unito), Merck (Usa), Sanofi (Francia), Pfizer (Usa) e Gilead Sciences (Usa).
Una risoluzione dell’Oms del 2019 ha richiesto una maggiore trasparenza su tutta la filiera produttiva del farmaco per conoscere e abbattere i costi. Un passo importante, ma ancora da mettere in atto, che si è realizzato grazie all’Italia con l’iniziativa dell’allora direttore dell’agenzia del farmaco Luca Li Bassi.
Parliamo di una spesa che «nel 2018 aveva raggiunto 1,2 trilioni di dollari (1 trilione = mille milioni, ndr) e si annuncia in ascesa di altri 1,5 trilioni entro il 2023» come sottolinea Nicoletta Dentico, esperta di salute globale. Da direttrice di Medici senza frontiere (Msf) ha promosso nel 1999 la “Campagna internazionale per l’accesso ai farmaci essenziali”, nata per rimuovere l’esclusione alle cure del 95% dei malati affetti da Aids a causa dei costi e dei brevetti detenuti dalle case farmaceutiche. Grazie a quel lavoro fu introdotta nel novembre 2001, con la Dichiarazione di Doha, una corretta interpretazione delle regole del Wto, nel senso che gli Stati, per ragioni di interesse generale, possono adottare “licenze obbligatorie” che permettono la produzione o l’importazione del vaccino di prodotti farmaceutici senza l’autorizzazione del detentore del brevetto.
Come ci dice Silvia Mancini, di Medici senza frontiere, davanti alla pandemia da coronavirus, non possono valere le regole sulla proprietà intellettuale del vaccino «quando sono in gioco miliardi di vite umane e l’intera popolazione mondiale deve essere immunizzata».
Coerente con la propria visione sulla priorità degli interessi nazionali, il presidente Usa, Donald Trump, ha cercato di assicurarsi l’esclusiva del futuro vaccino stringendo accordi diretti con alcune società d’avanguardia in Europa, la francese Sanofi e la tedesca CureVac, generando dure reazioni da parte di Macron e Merkel. Anche perché si tratta di progetti finanziati dai rispettivi Stati.
Un modo di procedere completamente opposto all’evidenza della conoscenza scientifica. Come osserva Luigi Marengo, docente di economia presso l’Università Luiss di Roma, «la cultura, la scienza e la tecnologia occidentali da secoli progrediscono grazie al meccanismo di pubblicazione e condivisione reciproca, cioè un meccanismo istituzionale opposto alla proprietà, all’esclusione, al monopolio». Alzare muri davanti alla pandemia mette, quindi, in pericolo l’umanità intera. Come ribadisce Marengo «il settore farmaceutico è un vero e proprio paradiso del monopolista e quindi un potenziale inferno per il consumatore», ma «i governi e i legislatori degli Usa e dei Paesi occidentali» hanno creato «un sistema brevettuale che è sostanzialmente disegnato sulle necessità delle imprese farmaceutiche».
Come sottolinea il Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, «la maggior parte dei vaccini immessi oggi sul mercato è protetta da brevetti. Ad esempio, il Pcv13, l’attuale vaccino contro vari ceppi di polmonite somministrato ai bambini, costa centinaia di dollari perché è sottoposto al monopolio della casa farmaceutica Pfizer, a cui frutta 5 miliardi di dollari all’anno. E nonostante la Gavi (un’associazione in cui ci sono, tra gli altri, l’Oms, l’Unicef e la fondazione Gates) copra alcuni dei costi del vaccino nei Paesi in via di sviluppo, molte persone non possono permetterselo».
D’altra parte, come riporta Marco Valsania su Il Sole 24 ore, esistevano, già nel 2016, progetti di ricerca per vaccini in grado di coprire i rischi di nuove epidemie della Sars, sfortunatamente non finanziati perché non convenienti per il mercato farmaceutico. Una denuncia del Center for Vaccine Development del Texas Children Hospital.
Eppure, come fa notare Stiglitz, esiste già un modello replicabile di “scienza aperta”: il “Sistema globale di sorveglianza e di risposta all’influenza” (Gisrs) dell’Oms in base al quale «esperti da tutto il mondo si riuniscono due volte all’anno per analizzare gli ultimi dati e decidere contro quali ceppi influenzali il vaccino dovrà essere efficace. Il Gisrs è una rete di laboratori diffusa in 110 Paesi e finanziata quasi interamente dai governi».
Un gran numero di Paesi, ma non tutti, hanno aderito al progetto Covax Global Vaccines Facility e l’Act-Accelerator, l’iniziativa globale per accelerare lo sviluppo di strumenti contro Covid-19, promosso da Gavi, la realtà che vede assieme Oms e la fondazione Gates.
Ma il nodo da sciogliere resta quello dei brevetti. Su questo punto esiste un appello promosso da Msf e Istituto Mario Negri che chiede l’impegno anche del governo italiano, il quale, nel frattempo, ha comunque firmato un accordo per l’acquisto di dosi dalla multinazionale britannica AstraZeneca in fase di avanzata sperimentazione grazie alla collaborazione con l’università di Oxford e la Irbm di Pomezia, società privata che ha rilevato, nel 2009, un centro ricerche che la statunitense Merck intendeva chiudere.
Eppure, come ricorda Silvia Mancini di Msf, non si può «immaginare di rimanere protetti dal proprio sistema sanitario e al sicuro dentro le proprie frontiere». L’accessibilità universale al vaccino contro il Covid-19 «non è solo una questione di equità, ma è anche la precondizione necessaria per far sì che si inneschi il fenomeno noto come herd immunity (immunità di gruppo), utile a scongiurare ondate epidemiche successive». Elementi da tener presenti quando si vuole prendere sul serio il ricorrente invito di papa Francesco a un vaccino «universale e per tutti».
Nota bene
Si spera nel vaccino prima del 2021, ma i tempi di verifica ordinari richiedono da 2 a 5 anni. L’Oms comunica lo stato effettivo delle ricerche su www.who.int/teams/blueprint/covid-19.
Vedi anche il webinar su questo tema.