Rosatellum e patti elettorali, l’accordo Pd Azione/+Europa
L’accordo elettorale in vista delle politiche del 25 settembre è stato firmato il 2 agosto nella sala Enrico Berlinguer dai gruppi parlamentari del Pd tra Letta, Calenda e i radicali di +Europa. Rappresenta, secondo alcuni commentatori, un’importanza simile al congresso di Bad Godesberg dei social democratici tedeschi che, nel 1959, tagliarono i ponti con ogni riferimento anche implicito al marxismo.
La piattaforma è messa nero su bianco tenendo conto della particolarità del Rosatellum. Su tutto ciò che si muove in vista della scadenza del 25 settembre incombe, infatti, il meccanismo della legge elettorale vigente che obbliga a fare alcune scelte di alleanze che, con altri sistemi di votazione, non sarebbero invece necessarie. Ad esempio, con un metodo proporzionale puro gli elettori scelgono il partito e il candidato che preferiscono per poi contarsi e, in mancanza di una improbabile maggioranza assoluta, fare gli accordi di governo in base ad un programma di mediazione.
La legge Rosato, che porta il nome di un deputato del Pd ora coordinatore di Italia Viva, la conoscono davvero in pochi in tutti i suoi effetti collaterali e su cittanuova.it pubblicheremo articoli dedicati ad una sua migliore comprensione. Un quadro generale in questo articolo di Iole Mucciconi che spiega “come funziona il Rosatellum”.
Sappiamo che esprime un sistema misto tra proporzionale e collegi uninominali dove, come dice il nome, esce vincitore solo un nome, quello del candidato che prende più voti. Ad esempio nel 2018, in Sicilia, i 5 Stelle hanno fatto “cappotto” vincendo in tutti i 61 collegi uninominali in cui era divisa la Regione. Gli altri partiti si sono divisi i posti conquistabili nella parte proporzionale dove gli elettori non hanno comunque la possibilità di scegliere i candidati. Possono solo mettere una X sul simbolo di partito che espone una lista gerarchica di candidati nei collegi plurinominali, destinati in questo ordine, ad essere eletti in base alla percentuale di voti effettivamente raccolti.
La legge spinge, quindi, a creare coalizioni elettorali per vincere nei collegi uninominali anche perché non è possibile votare nella quota proporzionale un partito estraneo alla coalizione stessa.
In sostanza Letta e Calenda, nel testo dell’accordo indicati con il termine anglosassone di front runner, hanno concordato di dividersi i collegi uninominali secondo una proporzione rispettivamente del 70 e 30 per cento. Ognuna delle due parti può decidere, in questa divisione, il nome del candidato nel collegio uninominale che risulti più attrattivo di voti e il meno divisivo possibile. In tali collegi uninominali l’accordo prevede comunque che non si possano indicare i capi dei partiti, grandi e piccoli che siano, che compongono la coalizione e i ministri fuoriusciti dai 5 Stelle e da Forza Italia con la crisi del governo Draghi. Questi potranno, invece, trovare un posto sicuro se collocati in cima alle liste boccate del partito maggiore dei collegi plurinominali eletti con il sistema proporzionale.
Entrano in parlamento i candidati presenti nelle liste dei partiti che superano il 3% dei votanti su scala nazionale. Se si fa parte di una coalizione e il simbolo non supera l’1% i voti vanno comunque persi, mentre se si supera almeno questa soglia minima i voti vengono redistribuiti in proporzione agli altri partiti maggiori della coalizione.
Nel patto del 2 agosto restano esclusi Italia Viva di Renzi e la lista rossoverde di Bonelli e Fratoianni. Questi ultimi perché espressione di una linea diversa su molti dei punti programmatici della Bad Godesberg italiana. Più controversa l’esclusione degli ex dem di Italia Viva che condividono l’impianto liberal espresso da Calenda e +Europa. Il no a Renzi è stato anticipato da un’intervista al Corsera della leader radicale Emma Bonino.
Si tratta ora di capire se gli esclusi decideranno di correre da soli, in un’altra coalizione oppure accordarsi in extremis per un ruolo di lista minore di coalizione che concorre solo nel proporzionale con la scappatoia di trattare per trovare un minimo di rappresentanza di area nelle liste del Pd. In sostanza accettare di essere in Parlamento con un “diritto di tribuna” che non incide sulla scelte che contano.
Ma in una Camera e Senato fortemente ridotti nel numero di posti, è difficile ipotizzare poltrone di mera osservazione in tribuna perché ogni scranno occupato è destinato ad essere sempre più decisivo e perciò attrattivo per correnti e sottocorrenti di partito.
Ogni riserva sarà comunque sciolta in tempi stretti. I simboli dei partiti devono essere consegnati dal 12 al 14 agosto, le liste elettorali dal 21 al 22 agosto. La campagna elettorale inizierà formalmente il 26 agosto.
Prima ancora dei meccanismi delle candidature, è certo che l’aspetto più importante del patto elettorale tra Pd e Azione/+Europa riguarda “la visione, il programma” condiviso tra le parti. Si tratta di alcuni punti molto chiari a partire dalle «linee guida di politica estera e di difesa del governo Draghi con riferimento in particolare alla crisi ucraina e al contrasto al regime di Putin».
Così accanto all’impegno per «un’intensificazione degli investimenti in energie rinnovabili» è prevista «la realizzazione di impianti di rigassificazione nel quadro di una strategia nazionale di transizione ecologica virtuosa e sostenibile». Sul piano sociale è ribadito l’impegno a «contrastare le disuguaglianze e i costi della crisi su salari e pensioni» con l’impegno a «realizzare il salario minimo nel quadro della direttiva UE e una riduzione consistente del “cuneo fiscale” soprattutto dei lavoratori».
Tra i 4 punti del programma da realizzare oltre all’attuazione del Pnrr esiste un esplicito impegno a «non aumentare il carico fiscale complessivo» con un politica di bilancio associata ad «una riforma del Patto di Stabilità e Crescita dell’Unione Europea che non segni un ritorno alla stagione dell’austerità». È prevista una correzione del reddito di cittadinanza e del Bonus 110% «in linea con gli intendimenti tracciati dal governo Draghi».
In generale la coalizione vuole essere l’espressione della cosiddetta “agenda Draghi” («le parti condividono e si riconoscono nel metodo e nell’azione del governo guidato da Mario Draghi») ma su due punti decisivi l’accordo va oltre il programma dell’esecutivo di larga maggioranza guidato dall’ex governatore della Bce. È esplicitato l’impegno a «dare assoluta priorità all’approvazione delle leggi in materia di Diritti civili e Ius scholae». Due propositi certamente discriminanti verso la coalizione di centro destra e sui quali non esiste alcun contrasto, ad esempio, con i rossoverdi. Ma si tocca il delicato capitolo dei cosiddetti “diritti civili” che comprendono ad esempio la questione del suicidio assistito ed eutanasia, la regolamentazione dell’aborto, dell’utero in affitto, matrimonio omosessuale e questione di genere, ecc.
È questo l’aspetto messo meno in evidenza nell’accordo del 2 agosto e che merita, invece, affrontare nel merito delle scelte che si vogliono compiere. Un modo per capire quanto e come incidono nella Bad Godesberg liberal coloro che si rifanno ad una cultura che pone la persona e quindi la vita al centro dell’impegno politico.