Roma, una politica della cura a partire dal territorio

Nella Roma, in attesa delle prossime elezioni amministrative, è cresciuto un percorso di attivazione politica promosso dal servizio di pastorale sociale della diocesi assieme ad altre realtà attive sul territorio. Per incidere sulle scelte concrete e far crescere reti di economia, a presidio dei beni comuni e dei diritti sociali e ambientali. Intervista a Oliviero Bettinelli
Roma Quarticciolo Foto Cecilia Fabiano/ LaPresse

Su Roma si deciderà molto della politica nazionale dei prossimi giorni, quando saranno sciolti i dubbi sulle candidature dei candidati a sindaco nelle elezioni amministrative previste in autunno. La Capitale, con il suo vasto territorio, presenta problemi strutturali di antica data che mettono a dura prova qualsiasi proposta politica che voglia essere credibile e durare nel tempo.

La metropoli esprime anche una ricca presenza di associazioni e realtà presenti sul territorio. C’è bisogno di formazione politica ed esistono scuole di politica di diversa estrazione ed ispirazione come quella di Destino Comune di cui abbiamo parlato recentemente su cittanuova.it.

Anche il servizio della Pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Roma ha avviato una “Scuola di attivazione politica”, un percorso originale condiviso con soggetti molto attivi in città come Fairwatch e Commonfare.

Ne parliamo con Oliviero Bettinelli, vice direttore dell’ufficio della pastorale sociale e già responsabile, per tanti anni, del settore pace e mondialità della Caritas capitolina.

Come è nata la proposta di questa scuola di politica?
La proposta della Scuola di attivazione politica “Progettare un’economia trasformativa per una comunità sostenibile e solidale”, è stata organizzata da Fairwatch, Servizio della Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Roma, Commonfare, grazie alla collaborazione dell’ARCS nell’ambito del progetto “P come Partecipazione: azioni di capacity building per uno sviluppo sostenibile partecipato” finanziato dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. La scuola è nata dall’esigenza di offrire uno spazio di confronto che potesse sviluppare e “attivare” strategie di azione trasversali e aperte alla cura, potenzialmente capaci di sviluppare cultura.

Come mai avete pensato di condividere questo percorso con altre realtà che non appartengono al cosiddetto mondo cattolico?
Ci siamo guardati attorno e abbiamo visto esperienze, processi, tensioni che non nascevano esclusivamente in alcuni mondi particolari, ma che in qualche modo si intercettavano e si sostenevano. Li conoscevamo e abbiamo condiviso con molti di loro le loro scelte e il loro impegno. Ci siamo chiesti allora che cosa potesse significare accogliere la sfida della “Laudato si” e come potessimo trasformarla in una opportunità di crescita con tutti coloro che hanno a cuore la nostra casa comune.

Con una idea: sappiamo che esistono molte testimonianza significative e molte esperienze virtuose, ma la strada da percorrere è quella più complessa e non vuole limitarsi a trasformare tutto questo in una semplice somma di buone prassi da ascoltare e da condividere, ma piuttosto in un laboratorio che possa connetterle e trasformarle in una proposta politica orientata a ridefinire quelle regole del sociale e dell’economico che in questo momento ci opprimono.

E qual è concretamente l’obiettivo di questo laboratorio?
L’obiettivo era, ed è tuttora, quello di avviare una riflessione, l’ennesima ma necessaria, perché il lavoro e la testimonianza di ognuno possano diventare patrimonio collettivo attraverso la proposta di luoghi e i linguaggi generativi una nuova cultura. La proposta é nata quindi dall’ascolto di queste istanze, dalla necessità di lasciare alle spalle i “si dovrebbe” o i “sarebbe ora che” per sperimentarci in una prospettiva che ci offra l’opportunità di non essere solo dei cittadini coerenti e attenti, ma soprattutto responsabili. Non solo preoccupati di tenere in vita quelle sacche di resistenza che con fatica si sono create, ma di renderle vive e capaci di generare cultura e partecipazione.

La parola attivazione è in stretta relazione con il termine politica ed è stato un monito che abbiamo voluto considerare costantemente all’interno della costruzione del percorso. Attivazione era manifestamente l’obiettivo vero dell’incontro e resta tuttora il collante attraverso il quale vogliamo continuare il lavoro fatto.

Quale è il metodo usato dalla scuola?
Quello di partire dai fatti. La pandemia di Covid-19 ha fatto emergere limiti e fragilità del modello economico lineare basato sui passaggi «take, make, consume and dispose» (prendi, produci, consuma e scarta). Non dobbiamo ricominciare da zero. La sensibilità attiva verso questi temi è diffusa e si sta delineando con sempre maggiore chiarezza e interesse. Molte persone e gruppi si stanno facendo carico di testimoniare questi percorsi di ecologia integrale vivendoli con coerenza, competenza e passione, non solo attraverso una operatività ricca e stimolante, ma  ridefinendo all’interno di questi contesti il significato profondo del lavoro, delle relazioni umane di chi partecipa, la progettualità creativa che ne nasce, toccando più livelli, da quello culturale a quello della riflessione politica e della rielaborazione della propria presenza sociale, nel e per il territorio.

Abbiamo pensato quindi alla scuola come processo in atto, che continui a prendersi cura anche di se stessa e delle sue potenzialità attraverso:

il fare emergere modelli e pratiche di economia trasformativa per sostenere una società della cura improntata all’ecologia integrale;

l’aiutare a riconoscere, sostenere, mettere in rete, allargare e far partecipare le esperienze del territorio romano in dialogo con le reti nazionali e internazionali;

il promuovere l’innovazione sociale facendo conoscere esperienze socialmente ed ecologicamente sostenibili;

lo sviluppare competenze per implementare nuove forme di imprenditorialità e di liberazione da schemi sociopolitici ormai consumanti.

Come si lega l’esperienza di questa scuola con la vita sociale e politica di Roma e dell’Italia?
Come dice papa Francesco nella enciclica Fratelli tutti, «in molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia».

Ecco, l’idea del corso è proprio quella di creare un legame stretto delle riflessioni alla vita politica e sociale del Paese. Senza questa preoccupazione il nostro lavoro può diventare, seppur gratificante, sterile. Non siamo noi che abbiamo bisogno di una nuova prospettiva economica o sociale. È l’intera umanità che ne sente l’esigenza e che ne chiede la creazione. In questa direzione ci vogliamo muovere a auspichiamo che ci si voglia muovere, creando non solo necessarie occasioni di cura ma anche sviluppando una cultura della cura. I nostri territori ci dicono che non mancano mattoni, operai e strumenti. Ci sono, ma devono servire a costruire una casa comune: la nostra.

Come pensate di poter incidere sulle scelte politiche reali?
Riconoscere, allacciare, rafforzare e promuovere una più ampia e consapevole partecipazione a queste reti di economia, a presidio dei beni comuni e dei diritti sociali e ambientali, è una parte strutturale della ripresa. Ha bisogno del nostro “artigianato” che crei i presupposti per evitarci di maturare con impegno e fatica esperienze di assistenza e di sostegno mentre potremmo essere costretti, con sgomento, a subire un Recovery plan che indirizza risorse sulle armi. Troppo poco.

In “Lettera a una professoressa”, don Milani ci fa dire che abbiamo imparato che il problema degli altri è uguale al nostro e “Sortirne da soli è l’avarizia, sortirne insieme è la politica”.

Se è vero che non ci si salva da soli, non c’è altra via di uscita che fare delle nostre scelte politiche.

 

 

 

 

 

 

 

 

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