Ripartire da chi cerca di cambiare le cose
La discussione sull’impegno dei cattolici in politica non può ignorare che già molti sono impegnati in prima persona negli enti locali, i quali sono formati dall’intreccio vitale tra le istituzioni e la società civile.
Queste persone mettono concretamente al servizio delle comunità le proprie capacità occupandosi delle questioni quotidiane, come la manutenzione delle strade e la pulizia delle piazze, ma non si limitano all’ordinaria amministrazione.
Con la creatività che nasce dall’incontro tra competenza e carità si occupano di temi grandi come il morbo sociale dell’azzardo, la pace e il commercio d’armi, il contrasto all’inquinamento e al global warming.
Non si può ignorare l’impegno di queste persone perdendo tempo ed energie a chiedersi se sia il caso di creare un partito o un sindacato, forme di partecipazione del Novecento e fallite.
Che senso ha discutere di creare un partito cattolico? Sorge il sospetto che qualcuno voglia occupare spazi lautamente pagati più che creare luoghi, fisici e virtuali, dove far incontrare le persone.
Pensare che la proposta politica del cattolico sia già pronta, ossia che sia frutto dell’applicazione meccanica delle norme morali cattoliche, è un pensiero fallimentare.
Mancano i luoghi dove si forma il pensiero popolare cattolico, che non potrà che essere che il frutto dell’incontro e della discussione di persone libere.
“Il cattolico medio” è stato investito, come tutti, dai cambiamenti degli ultimi trent’anni che possiamo riassumere nel fenomeno della globalizzazione. Per cui oggi, sempre “il cattolico medio”, ha il conto in una banca che finanzia l’export di armi e probabilmente adotta a distanza un bambino martoriato da quelle armi; veste vestiti in poliestere, derivato del petrolio, prodotti da giovani che lavorano 18 ore, fa il bucato con detersivi altamente inquinanti, difficilmente fa la differenziata; usa quotidianamente lo smartphone, non vede l’ora di comprare un’auto elettrica: le batterie di questi prodotti cult sono fatte di minerali estratti da schiavi in miniere sotto il controllo di signori della guerra.
Non voglio toccare i temi legati alla politica estera, i rapporti con la Cina e l’Africa o la permanenza nella Nato. Con un popolo cattolico che non ha ancora fatto i conti con queste contraddizioni, che senso ha racchiuderlo in una parte politica che si differenzia dalle altre?
Anche se sono giovane, ho già letto molti di manifesti per guidare questa “nave sanza nocchiere in gran tempesta”, che sembrerebbe essere travolta dalle onde alte del populismo. E io che pensavo fosse svantaggiata dal dumping monetario della Cina o dal dumping fiscale delle multinazionali e delle famiglie italiane più ricche!
Ma di progetti concreti, capaci di unire, di sintetizzare, di diffondere una cultura fatta di pensiero rivolto alle ultime ruote del carro e di buone pratiche, ne ho visti pochi. Ripartiamo da Igino Giordani, persona di fede coraggiosa, capace di dialogare con tutti, che è stato ostacolato per la sua coerenza nel campo della guerra come il sostegno all’obiezione di coscienza al servizio militare.
Ripartiamo dai sindaci coraggiosi, concreti e visionari, mossi dall’attenzione verso i poveri e gli ultimi e presi di mira dagli attacchi speculativi delle opposizioni o dalle minacce delle lobby. Ripartite dai giovani, o almeno evitare di censurarli quando porgono domande vere, nel merito delle questioni più scottanti, anche se queste possono creare imbarazzo al leader di turno. Come afferma l’enciclica Caritas in veritate, «La carità, di cui la politica è espressione, nella verità è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e via maestra della Dottrina sociale della Chiesa».