Il reddito di cittadinanza preso sul serio

Secondo alcuni commenti post voto, la vittoria del M5S al Sud si spiega con la proposta di una misura improponibile e assistenzialista. Il dibattito sulla lotta alla povertà è molto più complesso e chiede un dialogo responsabile
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

Luigi Di Maio ha 31 anni,come il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, nato a Vienna nello stesso anno 1986, poco prima del crollo del Muro di Berlino. Il giovane capo politico del M5S proviene, invece, da Pomigliano D’Arco, ex centro agricolo e poi industriale per scelta dei democristiani del tempo che pensavano di portare sviluppo al Sud con le grandi industrie.

Il controverso presidente della Repubblica Giovanni Leone proveniva da questa cittadina fiorente dove ora l’anziano parroco Giuseppe Gambardella si rivolge, con affetto, al leader pentastellato per chiedergli di essere fedele nel rispettare l’impegno ad attuare il reddito di cittadinanza. Ridurre tutto, come avviene in certe analisi del voto, ad una questione di assistenzialismo meridionale è fuorviante e offensivo.

Don Peppino conosce da vicino gli effetti devastanti nella vita delle famiglie dove manca il lavoro vero, quello che affranca dalla povertà insostenibile. Davanti a fatti tragici, come il suicidio di alcuni operai rimasti in cassa integrazione dalla Fiat con nessuna possibilità di rientrare i fabbrica, la sua parrocchia ha provato, assieme alla Fiom Cgil e Libera, a lanciare la proposta di una forma di mutualismo tra i lavoratori con un progetto chiamato “legami di solidarietà” alimentato, in parte, dall’equivalente delle ore di straordinario dei dipendenti Fiat (adesso Fco) richiamati in servizio. Il sostegno è arrivato anche da un ormai ex parlamentare della Sinistra italiana, quel Giovanni Barozzino, operaio della Fiat di  Melfi, esponente di una vertenza emblematica contro Marchionne.

 ANSA/ TOMMASO CROCCHIONI
ANSA/ TOMMASO CROCCHIONI

Sulla questione della lotta alla povertà, come Città Nuova, abbiamo cercato di dare strumenti (su rivista, web, dibattiti e dossier) per entrare nel vivo di un dibattito che non può essere ridotto a slogan contrapposti, senza porsi neanche la questione delle cause strutturali di una diseguaglianza odiosa che finisce per essere accettata come una fatalità. Serve a poco limitarsi a dire che solo il lavoro è strumento di emancipazione. Anche chi propone un vero e proprio reddito di base “incondizionato” per tutti lo fa sul presupposto che in tal modo sia possibile creare una migliore occupazione. Esistono, poi, casi in cui il lavoro, di bassa qualificazione e retribuzione, non basta per uscire dalla povertà e rispettare il dettato costituzionale di «assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa» (articolo 36).  Condizionare la percezione di un reddito di dignità all’accettazione di qualsiasi lavoro, vuole dire, in tale visione, colpevolizzare chi si trova in difficoltà e destinato ad uscire dalla trappola della povertà. Ma ci sono casi estremi come i minori senza famiglia che a 18 anni devono uscire dalle comunità di accoglienza senza avere un reddito e un lavoro, come gran parte dei loro coetanei che, invece, hanno un tetto e il reddito dei genitori.

Il reddito di cittadinanza proposto dal M5S non è, tuttavia, un reddito incondizionato legato al semplice fatto di essere al mondo. Si tratta di una dotazione monetaria, maggiore di altre forme di sussidio (780 euro per il singolo), associata al potenziamento degli uffici pubblici dell’impiego per la ricerca e il reinserimento nel lavoro, notoriamente sottodimensionati e superati dalle agenzie interinali. Chi non si rende disponibile alla formazione, alla ricerca attiva del lavoro e al lavoro gratuito per la collettività perde ogni diritto, secondo la proposta M5S. Sulla copertura finanziaria di tale spesa, che andrebbe vista come investimento, esistono diversi conteggi di cifre (da 17 miliardi di euro previsti dal M5S ai 29 miliardi del sito lavoce.info) che obbligano a trovare coperture non aleatorie.  E qui ci troviamo davanti a scelte che non possono essere neutre. Ed infatti, ad esempio, il programma M5S prevede di ridurre le detrazioni dei redditi più alti, così come i guadagni di banche e assicurazioni e le spese militari. Opzioni di “sinistra”, preoccupanti per Confindustria che invece ha detto che non teme un governo M5S. Vedremo.

Prima delle elezioni l’Alleanza contro la povertà, tavola associativa coordinata da Acli  e Caritas, ha provato a chiedere un confronto con le forze politiche per chiedere l’impegno all’applicazione del reddito di inclusione sociale (Reis) proposto per affrontare l’area della povertà assoluta. Anche questo ipotizzato come misura di un reddito sempre accompagnato all’attivazione dei servizi sociali, in concorso con il terzo settore, per un investimento stimato intorno a 7 miliardi di euro.  I governi Renzi e Gentiloni ne hanno impegnati 2 di miliardi presentando il “reddito di inclusione” come primo passo di una manovra strutturale che molti hanno frainteso facendola coincidere con il Reis dell’Alleanza.

Al confronto proposto dalle associazioni lo scorso 13 febbraio nelle sale del Cnel, si sono presentati solo il Pd, Leu e M5S. Il centrodestra, pur nella presunzione di una vittoria elettorale possibile, ha evitato di entrare nel merito anche perché la sua proposta di una flat tax (una sola aliquota fiscale che vale per tutti i redditi) prevede la fascia di no tax area con una imposta negativa di mille euro per i meno abbienti con un costo complessivo, stimato sempre dal sito lavoce.info, di 29 miliardi di euro. Ma soprattutto tale prospettiva non prevede, come nota Lorenzo Lusignoli che rappresenta la Cisl nell’Alleanza contro la povertà, quella componente “attiva” di inclusione sociale senza la quale si «rischia di determinare un disincentivo verso il lavoro assai più forte rispetto alle altre proposte».  La proposta del M5S, invece, come abbiamo evidenziato prevede percorsi d’inclusione lavorativa anche se «l’ampiezza della platea e l’importo del beneficio vanno ben oltre le richieste dell’Alleanza e pongono il problema del forte disincentivo che si genererebbe verso l’offerta di lavoro».

In via più generale la prospettiva differente dell’Alleanza si coglie nel fatto che, precisa Lusignoli, «noi riteniamo che si debba agire con un apposito strumento sulla povertà assoluta mentre riteniamo che si debba fare uso di altri strumenti per combattere la disuguaglianza, dunque la povertà relativa come, ad esempio, la riforma fiscale, gli aiuti alla famiglia, ecc.».

Nunzia Catalfo (M5S) ANSA/GIUSEPPE LAMI
Nunzia Catalfo (M5S) ANSA/GIUSEPPE LAMI

Tracce di un dialogo serio tra coloro che si interrogano sulle conseguenze di lungo termine sulla vita delle persone di una crisi che, troppo in fretta, si è presentata ormai come alle spalle. Nell’incontro con i rappresentanti dell’Alleanza contro la povertà, la senatrice Nunzia Catalfo, presentatrice del progetto di legge M5s sul reddito di cittadinanza, si è detta disponibile ad approfondire le questioni aperte dal confronto, così come la senatrice Anna Maria Parente del Pd e il deputato Stefano Fassina di Liberi e Uguali, che ha ribadito l’inadeguatezza di misure di sostegno al reddito davanti a scelte di precarizzazione e sfruttamento del lavoro che allargano l’area del disagio. Non mancano seri motivi per un dialogo da portare avanti con responsabilità.

 

 

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