Reddito di cittadinanza e povertà

Trionfalismi e ironie sulla misura promossa dalla componente pentastellata del governo Conte. Ma l’impoverimento crescente nella nostra società ha bisogno di un confronto aperto ed esigente.
ANSA/CIRO FUSCO

È stato evocato il tragico balcone mussoliniano di piazza Venezia o, con snobismo europeo, il peronismo. Dopo il varo della manovra economica, l’euforia dei pentastellati affacciati da palazzo Chigi (quello cioè del governo ormai conquistato!) è sembrata perlomeno una ingenuità o, peggio, come dicono alcuni esperti, un’operazione incauta con il rischio di portare allo sfracello l’intero Paese.

Su cittanuova.it stiamo cercando di dare spazio ad un dibattito serio sul Documento di economia e finanza, dialogando da posizioni diverse. Ma certamente il provvedimento che attira molta attenzione è quello del cosiddetto reddito di cittadinanza, il vero obiettivo dichiarato dal M5S.

La competenza dei poveri
Di povertà parlano in troppi senza averne competenza, ha detto l’economista Luigino Bruni su Avvenire, accennando non tanto alla pratica con tabelle e grafici, ma a quella con la privazione reale, del cibo come di altri beni ritenuti o meno essenziali per la dignità umana. Cioè il “pane e le rose”, per citare una lunga tradizione del movimento operaio, il diritto di vivere e non solo quello di esistere. È sempre vivo il conflitto tra reddito e lavoro di cittadinanza come lo definisce, ad esempio, l’economista Laura Pennacchi citando Hyman Minsky.

Di lotta alla miseria e all’impoverimento (se dite “lotta alla povertà” vi attirate tante critiche soprattutto in ambito cattolico) parliamo da sempre su Città Nuova, ma con particolare attenzione, recentemente, alle proposte nate per cercare di rispondere al fenomeno inquietante della crescita abnorme della condizione di disagio in Italia, classificata con i termini di povertà assoluta e relativa per distinguere chi si trova nel baratro e chi ci può cadere con estrema facilità, pur appartenendo alla ambigua categoria della classe media.

Poveri in Friuli
Poveri in Friuli

Una realtà che convive con l’osservazione comune dei “ristoranti sempre pieni”, perché i ricchi e benestanti non sono certo scomparsi ma, semmai, hanno aumentato il loro patrimonio in tempo di crisi. Esistono, inoltre, anche i finti nullatenenti. Teoricamente avrebbe titolo a ricevere un sussidio anche il boss di “Mafia Capitale”, mentre l’algoritmo dell’Isee diventa una condanna per tante famiglie con figli che hanno una casa e molte bollette da pagare. La materia è assai complicata, non basta copiare ricette vigenti in altri contesti. E poi esistono visioni di società e di persona radicalmente diversi che spesso non vogliono neanche dialogare tra loro.

Un reddito condizionato
Il rischio è quello di maneggiare risorse consistenti con risultati effimeri o controproducenti. Tiziano Vecchiato della fondazione Zancan, una autorità riconosciuta da molti in materia, parla di un certo analfabetismo del welfare che conduce a soluzioni improvvisate e intrinsecamente assistenzialiste.

Come si è cercato di dire in precedenti interventi, la soluzione del cosiddetto reddito di cittadinanza pentastellato non è lontano da altre misure come il Reis proposto dall’iniziativa promossa congiuntamente da Caritas e Acli (da distinguere dal più ridotto Rei varato dal governo Gentiloni). Se ne distanzia per l’impegno di spesa più elevato (17 miliardi di euro contro 8,5), ma è un “reddito condizionato”. Cioè non si danno soldi come facevano Totò e Peppino nella “Banda degli onesti”, ma li si condiziona alla disponibilità di una giornata di lavoro gratuito per la comunità, l’obbligo a seguire corsi di formazione e il divieto a rifiutare più di 3 offerte di lavoro nel raggio di un ragionevole lasso di tempo.

Il perno di tutta questa operazione sono i centri per l’impiego pubblici, da rivitalizzare dopo l’esproprio, di fatto, delle loro funzioni da parte delle agenzie interinali sorte come funghi nelle nostre città.

Una misura che incontra molto scetticismo, ma che ha come termine di paragone ciò che già avviene in Germania. Distanza ardua da colmare. La scelta, finora compiuta, di esternalizzare la mediazione del lavoro alle società private specializzate anche in staff leasing (cioè l’affitto ad una azienda di una intera squadra di persone), risponde ad una precisa volontà politica trasversalmente accettata anche da molti sindacati.

Il controllo dello Stato etico
Un reddito concesso a determinate condizioni, dunque, ma che obbliga ad esercitare uno stretto controllo. Ad esempio lo stesso Bruni ha sempre fatto presente che oggi, senza l’attivazione di capitali relazionali e sociali, i soldi dati ai poveri finiscono facilmente nel vortice dell’azzardo offerto dappertutto come ultima insperata occasione del destino.

Sembra che i governanti abbiano ascoltato tale osservazione assicurando che la card, una specie di bancomat ricaricabile, non potrà essere utilizzata in sale slot, tabaccherie e altro. Avviso che ha scatenato l’ira e lo scherno per lo Stato etico incombente che vorrebbe decidere cosa può consumare un povero. Anche un noto psichiatra televisivo, consulente di Lottomatica, ha detto in precedenza che “tutti hanno diritto al sogno”.

In generale è difficile porre paletti alla libertà di chiunque di spendere. Attività che rientra nell’esercizio della cittadinanza che è diverso dalla consegna di una tessera annonaria concessa per mangiare nei tempi di guerra.

Realisticamente, poi, le mafie e gli strozzini possono trafficare e scambiare beni di qualsiasi genere (denaro contante contro beni alimentari) per asservire le loro vittime. E i controlli dovrebbero estendersi alla proprietà di immobili e così via.

Il problema si pone, dunque, nel gestire e controllare i flussi di denaro, mentre si è rivelato molto più semplice, come ha fatto il governo Renzi, concedere 80 euro direttamente in busta paga ai redditi medi, salvo conguaglio negativo in caso di salari annuali troppo bassi o fuori quota, senza neanche tener conto del reddito complessivo familiare (il bonus lo ha preso anche chi ha un consorte ricco). Ma in questo caso si trattava di una misura intesa a far crescere l’economia e non a risponderedirettamente alla povertà. Ben 10 miliardi di euro che, infatti, secondo l’ex ministro del lavoro Enrico Giovannini avrebbero permesso di applicare il reddito di inclusione all’intera platea delle persone in povertà assoluta, con effetti ancora più efficaci sulla crescita economica complessiva, tra l’altro.

Ripartire da Daniel Blake

dossier_Povertà_Città Nuova 2016

Nel dossier Povertà di Città Nuova abbiamo affrontato, nella loro complessità, molte delle questioni che ora sembrano così attuali registrando che economisti della stessa provenienza e sensibilità hanno idee diverse sulle misure della lotta alla miseria.

Ad esempio dovrebbe essere chiaro che il reddito di cittadinanza rimanda semanticamente ad una cosa molto diversa da quella finora sommariamente descritta. E cioè un reddito dato a tutti “senza condizioni”. Secondo tale teoria, sistematizzata dal professore Philippe van Parijs dell’Università cattolica di Lovanio in Belgio, si taglierebbero tutti i pesanti costi burocratici, evitando, inoltre, di decurtare il reddito in caso di altri compensi, lasciando libero ognuno di decidere cosa scegliere della sua vita (studiare, lavorare a tempo, stare con i figli) senza esporsi al ricatto di lavori indegni. Tutte quelle condizioni previste dal reddito del governo Conte appaiono, in questa prospettiva, una umiliante colpevolizzazione della povertà.

Secondo alcuni si tratta di una visionaria o pericolosa utopia, anche perché di misure del genere parlano pure gli economisti liberisti con l’intenzione, tuttavia, di azzerare ogni misura di Stato sociale e concedere un minimo vitale indefinito agli individui. Ma che ce ne facciamo di un salario di esistenza se scuola, servizi e sanità sono accessibili solo a pochi?

Prima di ogni cosa bisogna quindi porsi di fronte al problema vero della povertà che assedia la vita delle persone, affrontando i problemi di ogni soluzione ipotizzata. Come traccia comune, prima di ogni dibattito da promuovere a tappeto nella società civile, sarebbe consigliabile la visione di un film di Ken Loach (“Io Daniel Blake”), un affresco del nostro tempo che aiuta a tacitare ogni tentazione di procedere a colpi di slogan.  Lasciarsi interrogare dal profondo potrebbe aiutare a porsi alcune domande per cercare insieme, con umiltà, le possibili risposte.

 

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