Proibizionismo e capitalismo sulla questione azzardo
Le idee più chiare le ha espresse, tempo addietro, il collettivo Senza Slot di Pavia: «Secondo noi l’idea che lo Stato non possa proibire nulla non è un’idea di sinistra: è essenzialmente un’idea liberista. Proibire qualcosa non ci scandalizza; tra gli schiavisti e gli abolizionisti, stiamo con gli abolizionisti». In Italia è il Sistema gioco di Confindustria che usa lo spauracchio del proibizionismo come grimaldello per far passare l’interesse degli associati a continuare a fare profitti con l’espansione senza limiti dei loro prodotti. Il recente incontro laboratorio di Loppiano Lab è stato impostato proprio sull’influenza dei gruppi di potere reali (le lobby delle multinazionali ) sulle scelte politiche e quindi sulla società con il risultato di avere un Paese intero trasformato in un casinò diffuso. Come sempre, oltre a dare voce alla diffusione di un movimento spontaneo come Slot Mob, che suscita domande di senso sulla convivenza e il legame sociale, si è trattato di creare uno spazio di dialogo tra realtà che operano sul campo anche se con diversi orientamenti e sensibilità. Se, infatti, le organizzazioni imprenditoriali dimostrano una sostanziale ed efficace capacità di azione, il mondo delle associazioni è attraversato spesso da divisioni che stentano a comporsi come avviene ad esempio tra il “movimento no slot” ( da tener distinto dal collettivo senza slot) e la “campagna mettiamoci in gioco”, presenti nel laboratorio di Loppiano con autorevoli rappresentanti: rispettivamente, Simone Feder e don Armando Zappolini.
Il tabù
Il punto più controverso riguarda proprio il tabù del “proibizionismo”, termine che, da solo, è capace di suscitare fastidio ad una coscienza moderna insofferente ad ogni divieto imposto dall’alto (“vietato vietare”). È su questo concetto che occorre dissipare ogni dubbio: è nostro intento limitare le scelte del singolo che vuole giocare d’azzardo e anche eventualmente rovinarsi?
Fondamentalmente chi aderisce e promuove Slot Mob esprime la decisa contrarietà al guadagno sulla debolezza altrui. Intende interrompere il flusso continuo di denaro dalle fasce sociali più fragili alle multinazionali. «Siamo proibizionisti del profitto ingiusto e non vogliamo che chi procura il danno si nobiliti offrendo l’elemosina per la cura». Questo è il nodo politico colto, poco prima di morire, dal grande storico Tony Judt ragionando in profondità sulla novità della legalizzazione incentivata dell’azzardo: un prelievo che produce ineguaglianza impedendo l’adozione di politiche sociali più avanzate. È un potente narcotico della coscienza politica. Di fatto, anche chi opera curando le vittime della patologia ossessiva indotta dall’azzardo, ritiene di non riuscire a cambiare i rapporti di forza consolidati e finisce per accettare come soluzione possibile la semplice “riduzione del danno”. In tale contesto, anche il contributo promozionale delle aziende del settore è visto come inevitabile e come male minore (“non è più tempo per le crociate”) o ammantato di responsabilità sociale dell’impresa.
Realismo e compromesso
Posto il punto fermo del contrasto radicale alla logica del profitto sulla vita delle persone, si può aprire il discorso sulla sua auspicabile regolamentazione da realizzare con interventi legislativi che hanno bisogno di un sostegno diffuso e costante.
Perché è difficile imporre il divieto di pubblicità dell’azzardo? Di fatto è una “proibizione”che va contro l’impropria libertà di impresa. Altre finalità potrebbero definirsi proibizioniste. Cosa impedisce di togliere le slot dai bar se solo dieci anni addietro la gran parte degli esercizi ne erano sprovvisti? Perché non bandirlo dal web senza nascondersi dietro la pretesa difficoltà tecnica? E infine, come si può, non tanto regolamentare la distanza dai luoghi sensibili ma disincentivare l’apertura delle sale slot che sono mini casinò diffusi? Dietro la minaccia dei posti di lavoro in pericolo non si nasconde l’incapacità di una diversa politica economia e industriale?
Ma il nodo centrale che pochi intendono toccare riguarda la gestione del settore dato in concessione alle grandi società commerciali che, per loro fine intrinseco, devono promuovere e trovare maggiori entrate e nuovi consumatori. È un tabù toglierne la gestione ai privati per ridarlo allo Stato o associazioni non profit che riducono man mano l’offerta, non lo incentivano e compiono un’opera prevalente di prevenzione? E invece sembra evidente che l’orientamento genericamente “antiproibizionista” abbia portato al comunicato congiunto di giovedì 16 ottobre con cui «Mettiamoci in gioco e Sistema Gioco Italia, l’Associazione aderente a Confindustria che rappresenta i maggiori operatori del settore del gioco lecito, hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per la realizzazione di azioni comuni focalizzate su quattro macro aree d’intervento: lotta all’illegalità, pubblicità e promozione, divieto di gioco ai minori e lotta al gioco d’azzardo patologico». L’accordo viene definito «importante, perché vede collaborare i due principali soggetti, operatori e associazioni, che si sono spesso confrontati su posizioni diverse, ora con l’obiettivo di implementare a breve proposte concrete, alcune delle quali già definite».
Alla ricerca del bene comune
Una scelta presa di mira da Marco Dotti, del Movimento No slot, e non condivisa dai promotori di Slot Mob che sulla pagina Face Book hanno scritto un breve comunicato: «il movimento Slot Mob basa la propria credibilità sull'integrità e sulla coerenza delle proprie scelte. Aspettiamo delle risposte chiare dai rappresentanti della Campagna Mettiamoci in Gioco e dalle associazioni aderenti riguardo all'accordo che Don Zappolini ha siglato con Sistema Gioco di Confindustria». Esplicito e chiaro fin dal titolo (“Le lobby non riusciranno a cucirci la bocca”) l’editoriale su Avvenire del 17 ottobre 2014 di Luigino Bruni, che già questa estate aveva denunciato la sponsorizzazione del Meeting dell’amicizia di Rimini da parte di Lottomatica e Sisal. Nella stessa data è arrivato il comunicato congiunto di Libera e Gruppo Abele (capofila del cartello Mettiamoci in gioco) che « fatta salve le buone intenzioni di chi l'ha promosso, a cominciare dal coordinatore della campagna Don Armando Zappolini, di cui conosciamo e apprezziamo l'impegno, ritengono doveroso precisare la loro estraneità a quanto accaduto, non essendo a conoscenza di tale accordo e della relativa firma se non attraverso articoli di stampa. Libera e Gruppo Abele precisano ulteriormente, al fine di evitare equivoci e fraintendimenti, che la firma del protocollo non impegna e non vincola in nessun modo le due associazioni in merito alle loro attività e alle loro iniziative sul complesso e delicato tema della prevenzione e del contrasto alla diffusione del gioco d'azzardo nel nostro Paese». Ma già erano intervenute le prese di distanza da parte di altri componenti di Mettiamoci in gioco come l’Azione Cattolica e Alea ( associazione di professionisti per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio).
L’infortunio potrebbe essere l’occasione per dare spazio ad un dibattito necessario sul nodo del cosiddetto proibizionismo per poter dialogare con tutti, anche necessariamente con Confindustria, per capire cosa lega assieme questo Paese nel segno del bene comune. Il testo di Città Nuova “Vite in gioco. Oltre la slot economia” , presentato anche a Milano il 18 ottobre, nel pieno delle polemiche sul protocollo contestato, vuole essere proprio uno strumento per andare al cuore del problema per poterne uscire assieme.