Presidenziali Perù: per ora è pareggio tecnico
Passeranno ancora diversi giorni prima di conoscere il risultato finale del secondo turno delle presidenziali in Perù. Pedro Castillo supera di appena 70 mila voti la sua avversaria, Keiko Fujimori, ma quest’ultima ha impugnato circa 200 mila voti sui quali dovrà pronunciarsi la giustizia elettorale. Si stima che ci vorrà almeno una settimana o forse più per ottenere il risultato definitivo di queste elezioni alle quali hanno partecipato 18,2 milioni di elettori, il 75% degli aventi diritto. Castillo avrebbe ottenuto quasi il 50,2% dei voti e Fujimori il 49,8%. Dunque, un vero e proprio pareggio tecnico. Nel caso di una sconfitta, per la Fujimori sarebbe la terza volta consecutiva, dal 2011, che perde nella stretta finale.
La campagna elettorale ha polarizzato il dibattito tra libertà e democrazia e sullo spettro del totalitarismo comunista, secondo Fujimori. Castillo, che non ha mai fatto mistero del suo orientamento marxista, ha invece puntato sugli effetti perversi di un sistema ingiusto e corrotto, da rifare a partire da una nuova Costituzione.
Fujimori si presenta come rappresentante dello status quo del mercato e della continuità democratica. Ma ha alle sue spalle l’ingombrante precedente della sua affinità ideologica col padre, Alberto Fujimori, oggi condannato per violazione dei diritti umani e corruzione. Lei stessa ha scontato due anni carcerazione preventiva, invischiata nelle indagini per i finanziamenti irregolari alle sue campagne elettorali, in totale 15 milioni di dollari mai dichiarati, ed è difficile non collegarla a un sistema politico in crisi, corrotto e solcato dalla demagogia e dal clientelismo. In questi giorni la Procura ha chiesto l’arresto della Fujimori per aver violato le disposizioni sulla libertà in attesa di giudizio.
Fino a pochi mesi fa, Castillo – docente di scuola media – era conosciuto solo per la sua attività sindacale. Non è il solo caso di outsider emerso dallo scontento e dalla sfiducia nei confronti di un sistema politico, oggi abitato da partiti nati ad hoc, spesso fatti su misura di un candidato politico, alcuni spariti con la stessa velocità con la quale sono nati, spesso espressione di un populismo a buon mercato. Castillo ha dato l’impressione di un elevato grado di improvvisazione, sprovvisto di un vero e proprio programma di governo, di cui si ignora la futura compagine. Anche noti oppositori del clan Fujimori, di fronte a tanta incertezza, hanno preferito appoggiare la sua avversaria. In entrambi i casi, una buona parte dei voti ottenuti erano motivati dal rifiuto dell’altra proposta.
Castillo ha vinto le consultazioni politiche di un mese fa, ma con appena il 16% dei voti. Perù Libre, il suo partito, ha ottenuto 37 dei 130 seggi del Parlamento unicamerale. Lo segue il gruppo di Fujimori, Fuerza Popular, con 24 seggi. Altri vari partiti di centrodestra potranno mettere in minoranza un eventuale governo di Castillo, che dovrà ricorrere a una capacità di dialogo che ancora non ha dimostrato di possedere. Ma solo apparentemente Fujimori assicurerebbe una maggiore governabilità, dato che non è scontato che gli altri partiti di destra le concederanno la leadership di una coalizione.
Le sfide per il futuro governo in Perù sono molte. La crisi ha dimostrato la debolezza di un’economia insostenibile sul piano ambientale e sociale e una situazione sanitaria inquietante. La settimana scorsa è stato corretto il numero dei decessi per Covid-19, passati di colpo da meno di 70 mila a oltre 187 mila. La campagna di vaccinazione in Perù avanza a rilento, siamo quasi a metà giugno e si stanno ancora vaccinando i sessantenni. La frammentazione in Parlamento non rende facile affrontare tali sfide. Gli ultimi due presidenti sono stati rispediti a casa con il ricorso della destituzione (facilitata da una norma costituzionale usata in modo discutibile) e dal 1990 in qua tutti i presidenti sono stati condannati, inquisiti o processati per corruzione.
D’altra parte, la polarizzazione del dibattito spazza il campo da letture moderate della realtà, rendendo però difficile affrontarla. Castillo, pur con i suoi limiti, manifesta lo scontento di estesi settori nei confronti di un modello economico incentrato sull’estrazione di risorse naturali, che lo rende dipendente da regalie e favori ad essa legate. La promessa di una crescita economica – attorno al 4% l’anno – che avrebbe migliorato la qualità di vita di tutti, non si è avverata (né in Perù, né altrove), pochi ne hanno beneficiato, mentre intere regioni non conoscono sviluppo e lo Stato vi arriva poco e col contagocce. Non si intravede una via d’uscita a questa profonda crisi istituzionale e sociale e gli attuali traghettatori suscitano più perplessità che speranze.