Porto Rico. Il fallimento
Da anni l’amministrazione dello Stato libero associato di Porto Rico trascinava il peso di un forte debito pubblico. Il governatore Ricardo Rosselló ha chiesto l’accesso a un piano di ristrutturazione del debito alla Corte federale degli Stati Uniti. Ovvero: fallimento. 73 mila milioni di dollari è il dovuto, in gran parte, ad aziende statunitensi. È di fatto il più grave caso di fallimento di un territorio statunitense. È almeno dal 1973 che il debito portoricano cresce. Ma è stato in seguito alla crisi del 2000 che ha assunto proporzioni catastrofiche. Quella del 2008 l’ha lanciato alle stelle, oltre a provocare un crollo del turismo, che, con l’aggravante delle misure di austerità degli ultimi 15 anni ha finito per prostrare l’economia di questa antica colonia spagnola. I guai seri, in realtà, erano cominciati 12 anni fa, quando il governo Usa aveva deciso di ritirare i vantaggi fiscali alle sedi portoricane delle sue grandi compagnie, il che ha provocato la drastica riduzione degli investimenti e la chiusura di molte succursali, causando una crescita record del livello di povertà fino al 45% e una disoccupazione del 12%. Il governo portoricano ha cominciato allora a emettere titoli di Stato per pagare i debiti. Titoli molto attraenti, ma ciò ha moltiplicato il passivo statale, il che ha portato il governo a dichiarare “impagabile” l’astronomico ammontare del debito, e a non onorare i primi impegni nel 2016.
Ora un tribunale federale arbitrerà i negoziati con i debitori. Secondo gli esperti, ciò potrebbe limitare alquanto l’autonomia del governo nella gestione dell’economia. Ma con questo, almeno, Porto Rico ha ottenuto il congelamento di tutte le cause giudiziarie per insolvenza dello Stato. Si apre ora una fase estremamente delicata.