Politici verso la santità, l’esempio di Robert Schuman
L’unità, la riconciliazione, la pace possono essere la strada che porta alla santità. Anche per un politico impegnato ai massimi livelli istituzionali. Lo dimostra la storia di Robert Schuman, statista nato in Lussemburgo il 29 giugno 1886, primo ministro e ministro degli Esteri francese, e primo presidente del Parlamento europeo, da cui fu proclamato “padre dell’Europa“.
Già servo di Dio dal 2004, dallo scorso mese di giugno Schuman è diventato venerabile, dopo la pubblicazione – autorizzata da papa Francesco – del decreto che riconosce le sue virtù eroiche. Virtù mostrate nella quotidianità di un impegno teso alla riconciliazione, all’unità, alla pacificazione di un continente devastato e diviso, appena uscito dalla seconda guerra mondiale.
Nonostante i suoi limiti, l‘Unione europea ha infatti avuto l’innegabile ed inestimabile pregio di aver garantito al continente e ai suoi abitanti oltre 70 anni di pace. E non a caso la festa dell’Europa cade il 9 maggio. In quella data, nel 1950, proprio Robert Schuman pronunciò un discorso destinato a diventare una pietra miliare dell’Ue. Erano le 16 quando, nel Salone dell’orologio del ministero degli Esteri francese, a Parigi, pronunciò quella che è passata alla storia come Dichiarazione Schuman. Un discorso scritto insieme ai suoi collaboratori, e in particolare a Jean Monnet. La premessa del Piano Schuman era, del resto, proprio un concetto già espresso qualche anno prima da Monnet: “Gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le nazioni europee dovranno riunirsi in una federazione”.
Sovvertendo quella che era stata fino a quel momento la regola, Schuman propose di fare del carbone e dell’acciaio – da sempre motivo di discordia per Germania e Francia – le basi di un accordo transnazionale, che non avrebbe consentito ulteriori guerre, pena la penalizzazione economica di tutti i Paesi coinvolti, che si legavano in questo modo insieme per il benessere comune. In questo modo una guerra sarebbe stata “non solo impensabile, ma materialmente impossibile”.
Schuman poneva così le basi per la Ceca, la Comunità europea per il carbone e l’acciaio, a cui aderirono nel 1951 Francia, Italia, Germania Occidentale, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo. Le idee di Schuman e Monnet, infatti, avevano trovato grande accoglienza in quelli che poi diventarono altri padri fondatori dell’Europa: il tedesco Konrad Adenauer e l’italiano Alcide De Gasperi.
L’incipit della Dichiarazione Schuman, scritto da Monnet, afferma che “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. “Il contributo che un’Europa organizzata e vitale può apportare alla civiltà – continua il testo – è indispensabile per il mantenimento di relazioni pacifiche… L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto“.
Con la Ceca si ponevano le basi di quella che Schuman immaginava come la Federazione europea. Il 25 marzo del 1957 nacque la Comunità economica europea (CEE), poi diventata Comunità europea (CE) e infine Unione europea.
Nella visione di Monnet e Schuman la solidarietà era preminente. Non solo la produzione comune di carbone e acciaio “sarà offerta al mondo intero senza distinzione né esclusione per contribuire al rialzo del livello di vita e al progresso delle opere di pace”, ma un’attenzione particolare doveva essere dedicata allo sviluppo del continente africano. La Dichiarazione Schuman, aveva detto papa Francesco nel Regina Coeli del 10 maggio 2020, in occasione del settantesimo anniversario del discorso, «ha ispirato il processo di integrazione europea, consentendo la riconciliazione dei popoli del continente, dopo la Seconda Guerra Mondiale, e il lungo periodo di stabilità e di pace di cui beneficiamo oggi. Lo spirito della Dichiarazione Schuman non manchi di ispirare quanti hanno responsabilità nell’Unione Europea, chiamati ad affrontare in spirito di concordia e di collaborazione le conseguenze sociali ed economiche provocate dalla pandemia».
Schuman, fervente cattolico (nei suoi scritti sono state trovate espressioni come: “Mi abbandono a te, Signore“), fu definito da papa Paolo VI «infaticabile pioniere dell’Europa unita». Per lui, morto il 4 settembre 1963, la politica fu un cammino verso la santità. Una professione che era una vocazione, che lo portava a sognare un’Europa accogliente, solidale, responsabile, con un’anima. Un sogno che alla luce di quanto accade oggi, ad esempio per quanto riguarda i migranti, ancora non è stato realizzato, ma che ha sempre la possibilità di essere attuato, forse proprio, usando le parole di Schuman, grazie a “realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto“.