Il piccolo Charlie e la società della perfezione
La vicenda di Charlie Gard, il bimbo affetto da una malattia su base genetica rarissima ed inguaribile (è il sedicesimo caso al mondo), sta per mostrare i titoli di coda dopo aver “monopolizzato” i media cartacei, digitali e i social di tutto il pianeta terracqueo. L’intera vicenda ha posto troppe domande e quasi nessuna risposta, al punto che come tutti gli incontri di boxe che si rispettino (perché in fondo di questo si è trattato…) gli sfidanti (i genitori del bambino) hanno gettato la spugna.
Su questa storia c’è una prima grande domanda: è la Corte europea dei Diritti umani che decide sulla vita di un bambino? Siamo proprio certi che la morte di un uomo, di qualunque età e condizione, possa essere dettata e disposta per legge? La seconda domanda è: perché impedire ai genitori che erano e sono nella piena facoltà della responsabilità genitoriale (nuovo e più appropriato termine, invece di patria potestà) il tentativo estremo di cercare cure alternative, seppur al limite della sperimentazione?
Tutta questa vicenda, che interroga e spiazza scienza e coscienza, sembra sia stata quasi tutta egida dei “credenti”. La realtà, però, è che la religione non c’entra o almeno è un attore non protagonista. Forse occorre registrare che Charlie, con le sue forze muscolari e con una reattività quasi nulla, ha urlato con il suo assordante silenzio, ponendo il dito nella piaga: l’andata in scena di un certo tipo di società e dei valori sui quali si fonderà. Una Società che invoca diritti individuali, di fatto mortificando la persona centro e motore della vita relazionale, che sposta l’universo dall’io in noi.
La vicenda del piccolo Charlie mostra come il modello sociale di riferimento si stia sempre più spostando nella fittizia, quanto ricercata e celebrata, società della perfezione. Una società che sembra voler bandire l’audacia di aspettare, la forza di seguire e partecipare, per dirla in modo leggero: passare dalla tirata di una sigaretta al lento fumo di pipa…
La confusione mediatica non ha poi distinto tra eutanasia e sospensione della terapia per non cadere nell’accanimento. La possibilità di sospendere la terapia o di limitarla spetta al soggetto (ai genitori in caso di minore ed entro certi limiti), al medico, eventualmente al giudice. Secondo Alessandra Rigoli, medico di Milano che ha seguito due bambini con la stessa patologia di Charlie: «Per un medico è legittimo decidere di sospendere un trattamento quando giudica un trattamento sproporzionato, cioè se i costi (non intesi in senso economico) superano i benefici. Sospendere un trattamento invasivo quale la ventilazione meccanica o il supporto farmacologico del sistema cardiocircolatorio diventa un obbligo morale in queste circostanze. E lo scopo – aggiunge Rigoli – non è far morire il bambino (come nel caso dell’eutanasia), ma interrompere un atto artificiale immotivato, ingiustificato, ingiusto. Talvolta si protrae un trattamento simile per dare il tempo ai genitori di essere pronti, mettendo pertanto il bene dei genitori davanti a quello del bambino, ma questo vale per un certo periodo di tempo. Ingiusta sarebbe invece la sospensione delle cure, dell’assistenza, della palliazione e della presa in carico del bambino come della famiglia». Si giunge alla sospensione del supporto ventilatorio, continua il medico, «dopo numerosi tentativi di svezzamento dal respiratore (una sorta di allenamento progressivo con riduzione del supporto e graduale autonomizzazione del respiro) che però falliscono.È il bene del bambino ad essere al centro anche quando purtroppo si deve ammettere di non avere altre risorse».
Anche l’ospedale italiano Bambino Gesù ha seguito la vicenda di Charlie, offrendo di dare il proprio supporto, con protocolli medici innovativi, prima che Chris Gard e Connie Yates, i genitori del bambino, gettassero la spugna. «Abbiamo fatto tutto quello che potevamo – spiegano dall’ospedale –. La terapia sperimentale con nucleotidi (Nucleoside Bypass Therapy – NST) avrebbe potuto essere un’occasione per Charlie e sarà un’opportunità» per altri pazienti. «Purtroppo – aggiungono dal Bambino Gesù – il tessuto muscolare del piccolo Charlie è stato gravemente compromesso, È impossibile avviare la padella sperimentale». Qualche risultato, tuttavia, sarebbe stato raggiunto. «Il sostegno alla vita di Charlie – aggiungono dall’ospedale pediatrico romano – non è stato rimosso prima di rispondere alla richiesta dei genitori e di verificare le condizioni cliniche del bambino e tutte le possibilità di cura. Abbiamo anche raggiunto un altro risultato: la comunità internazionale clinica e scientifica ha creato una rete sinergica, combattendo insieme per la vita di un ragazzino. E questo darà tanta forza a tutti gli altri “Charlie”» che si presenteranno. «Questa – concludono – è la vera eredità di Charlie: l’impegno a sviluppare un vero e proprio modello di medicina personalizzata».
Ma oltre le evidenze medico scientifiche, cosa pensa chi quotidianamente accompagna le persone che soffrono per scelta e non per mestiere? Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23) fondata da don Oreste Benzi, forte dell’esperienza di 408 strutture nel mondo che accolgono persone bisognose d’ogni tipo, ha affermato: “Nelle nostre case famiglia accogliamo tanti bimbi come il piccolo Charlie. Dalla nostra esperienza al loro fianco possiamo dire che la sofferenza non è data dall’handicap o dalla malattia, ma dalla solitudine che si crea a causa di queste condizioni”. Forse dovremmo ringraziare Charlie che ha fermato per qualche istante questo concitato e frenetico mondo per riflettere qualche nanosecondo, sperando fiduciosi in qualche “nano risultato”.