I pericoli della “Caldera flegrea”
Mi trovo a Pozzuoli quando mi arriva la notizia del sisma che ha scosso Ischia la sera del 21 agosto. Poche, per fortuna, le vittime.Nessun confronto col terremoto di Casamicciola del 28 luglio 1883, che nell’isola partenopea fece 2.313 vittime, tra cui i genitori e la sorella del filosofo Benedetto Croce, allora diciassettenne, che fu estratto vivo dalle macerie.
Mentre passeggio sul molo lo sguardo è attirato, in direzione di Arco Felice, da una collina tronco-conica coperta da una folta vegetazione di pini e macchia mediterranea. Perché mai appaia immune da quel cemento che troppo spesso devasta una delle plaghe più affascinanti della Campania è dovuto alla sua classificazione geologica: si tratta di una delle decine di bocche eruttive dei Campi Flegrei, la cui natura vulcanica – attiva ma in fase di quiescenza – è rivelata dalle fumarole nel suo cratere, visibili solo ai frequentatori di questa che oggi è un’oasi naturalistica.
È il Monte Nuovo, così denominato perché quasi 1500 anni or sono non esisteva: spuntò all’improvviso come un fungo presso il lago Lucrino tra il 29 settembre e il 6 ottobre 1538, in seguito ad una violenta eruzione che distrusse il villaggio di Tripergole e le cui ceneri tappezzarono Napoli raggiungendo perfino il Cilento, la Calabria e la Puglia.
Se la “nascita” del Monte Nuovo rimane il fenomeno vulcanico più spettacolare avvenuto qui in epoca storica, cosa dovette essere la catastrofe globale provocata 39 mila anni or sono dagli altri vulcani flegrei? Basti pensare che ne fu modificato il clima dell’intero pianeta, causa forse anche dell’estinzione dell’Homo neanderthalensis!
In effetti quella dei “Campi di fuoco”, così ricordati da Strabone, Diodoro Siculo e Plinio il Vecchio, è una lunghissima storia costellata di terremoti, eruzioni e periodici su e giù della fascia costiera, che modellando questo territorio gli hanno elargito, da un lato, materiali da costruzione (il famoso tufo giallo), feracità della natura e abbondanza di acque salutari; ma provocando, dall’altro, il lento sprofondamento in mare di città e ville sontuose.
Nel tentativo di spiegare gli inquietanti fenomeni del sottosuolo, gli antichi ricorsero al mito: se origine delle sorgenti sulfuree erano i fiumi infernali Flegetonte e Cocito, il funereo lago d’Averno rappresentava uno degli accessi all’Ade presso cui si aprivano anche le dimore sotterranee dei Cimmeri citati da Omero; quanto agli scuotimenti tellurici, erano provocati dai Giganti, sconfitti e là sotto relegati dagli dei dell’Olimpo, mentre il ribollente cratere della Solfatara era stato scelto dal dio Vulcano come sede di una delle sue officine.
Il turista qui attirato dalle bellezze paesaggistiche, dall’antro oracolare di Cuma, dai misteri di Baia sommersa o dalle sorgenti termominerali di Agnano, per lo più ignora che quest’area di 1.000 chilometri quadrati, tra le più densamente popolate al mondo, è un supervulcano più grande del Vesuvio, un tipico esempio di “caldera di collasso”, categoria tra le più pericolose, che potrebbe entrare in fase critica prima di ogni previsione.
È quanto asseriscono i ricercatori dell’Osservatorio vesuviano dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di Napoli su Le Scienze del maggio scorso. Nell’articolo in questione si scopre che la caldera flegrea, di cui fanno parte quasi tutta la città di Napoli e le isole d’Ischia, Procida e Vivara, rappresenta insieme al Vesuvio l’area «con più alto rischio vulcanico al mondo». Non per niente gli scienziati vanno tenendo sotto osservazione la nuova eccezionale fase di sollevamento del suolo o bradisismo ascendente nell’area compresa tra Pozzuoli, Bacoli e Napoli ovest. Inoltre già dal 2012 la Protezione civile ha alzato il livello di allerta dal “verde” (base) al “giallo” (attenzione): con i successivi “arancione” (preallarme) e “rosso” (allarme) scatterebbe l’ordine di evacuazione per le popolazioni residenti.
Prima ancora però, nel 2010, era stato approvato il Campi Flegrei Deep Drilling Project, coordinato dal citato Istituto partenopeo, con la partecipazione di prestigiose istituzioni nazionali e internazionali; progetto che prevede la perforazione nel golfo di Pozzuoli, e precisamente nell’area dell’ex acciaieria Ilva di Bagnoli, di due pozzi finalizzati allo studio della struttura profonda del centro della caldera. Il primo di essi, profondo 500 metri, ha avuto compimento nel dicembre 2012. A questo “pozzo pilota”, una volta completati i necessari finanziamenti, ne seguirà un secondo lungo tre chilometri e mezzo che andrà quasi a raggiungere il serbatoio magmatico.
Lo scopo è di iniziare a far luce sul “comportamento” della caldera, campionando mediante l’estrazione di “carote” gli strati dei prodotti vulcanici, inserendo sensori sismici ed effettuando altri sofisticati esperimenti. In conclusione, secondo gli articolisti di Le Scienze, attualmente le aree vulcaniche napoletane sono le più monitorate della Terra e la caldera dei Campi Flegrei è la meglio studiata e conosciuta.
Ben vengano, dunque, perforazioni scientifiche e carotaggi, se con ciò sarà possibile capire il comportamento dei vulcani e prevederne l’eruzione. Ma intanto quale lezione ne vanno traendo gli amministratori dei 25 comuni flegrei e i loro 700 mila abitanti?
Sugli effetti del sisma a Ischia si rimanda all’articolo di Loreta Somma