Pastorale evangelizzazione

Passare da una pastorale di conservazione dello status quo a una pastorale missionaria ovvero a uno stile di vita ecclesiale in cui si attualizza l’esperienza del Vangelo in tutte le sue dimensioni: è l’impellente sfida da affrontare oggi ovunque. Quali i capisaldi di un simile cammino? È ciò che si è chiesto l’Autore di questa testimonianza quando, dopo aver coordinato, per otto anni, la pastorale giovanile dell’arcidiocesi di Monaco di Baviera (Germania) e aver svolto per tre anni un servizio internazionale, è diventato parroco moderatore di due unità pastorali nella regione del Chiemsee, al sud della Germania. E ha trovato un’originale traccia quale fonte d’ispirazione e periodica verifica del percorso pastorale.

Quasi tre anni fa il vescovo mi ha affidato una grossa responsabilità: nove comunità parrocchiali, raggruppate in due unità pastorali con un totale di 16.000 cattolici, situate al sud di Monaco vicino al Chiemsee, il cosiddetto “mare bavarese”, a due passi dalle Alpi. Assieme a me, sarebbero state altre sei persone a formare l’équipe pastorale: due viceparroci e quattro operatori pastorali laici impiegati a tempo pieno, con in più l’aiuto di quattro sacerdoti in pensione.

Di fronte a questo incarico di parroco – nuovo per me, pur essendo già da 20 anni sacerdote – mi sono chiesto: da dove iniziare? Come far germogliare tra la gente la vita del Vangelo vissuto, che mi sta tanto a cuore? E in che modo testimoniare la presenza del Risorto in mezzo ai suoi? Certamente non da solo, mi sono detto. E ho trovato degli spunti, quasi a mo’ di un piccolo manuale, in un noto scritto di Chiara Lubich: Una città non basta1. Già a cominciare dal titolo faceva al mio caso. In tanti posti della nostra vecchia Europa, infatti, al tempo di oggi per noi parroci sembra valere il motto: una parrocchia non basta… Non di rado i vescovi si vedono costretti ad affidarcene più di una. Ripercorrere i suggerimenti di quello scritto è stato ed è per me fonte d’ispirazione e anche utile traccia per un periodico esame di coscienza. Rileggo pertanto la mia esperienza e il nostro cammino, per la verità ancora all’inizio, in questa chiave.

Quali priorità?

«Se vuoi conquistare una città all’amore di Cristo, se vuoi trasformare un paese in Regno di Dio, fa’ i tuoi calcoli».

Esordisce così il testo e indica un primo passo, una domanda che ho trovato fondamentale: voglio? Voglio conquistare la parrocchia all’amore di Cristo? Voglio irradiarvi la vita del Vangelo? Allora io stesso devo essere “acceso”, devo essere convinto, sempre di nuovo!

E segue subito una seconda indicazione: «Prenditi degli amici che abbiano i tuoi sentimenti, unisciti con loro nel nome di Cristo e chiedi a loro di posporre ogni cosa a Dio». Sin dall’inizio mi sono detto: la prima cellula impegnata a mettere in pratica il Vangelo e a vivere alla presenza del Risorto deve essere l’équipe pastorale. Senza far leva sul fatto che sono il parroco, ho quindi messo a base della nostra collaborazione una sola regola: prendere le mosse dalla Parola di Dio. Ecco perché, ogni settimana, cominciamo la riunione dell’équipe pastorale con uno scambio sulla Parola di Dio.

Questione di stile

Un passo ulteriore suggerito da quello scritto: «Poi statuisci con essi un patto: promettetevi amore perpetuo e costante, cosicché il Conquistatore del mondo sia sempre in mezzo a voi e vi sia condottiero».

Anche se, nella nostra équipe, non abbiamo fatto un vero e proprio patto d’unità o di amore scambievole, abbiamo però trovato il modo per garantire fra noi rapporti di profonda fiducia e una grande solidarietà reciproca nel lavoro. Alla luce di quanto il Concilio Vaticano II insegna sul sacerdozio comune e sul protagonismo e sull’importanza dei laici, nel corso di questi anni si è sviluppata fra noi una cultura dell’“insieme”, come nostro stile pastorale, nel rapporto con il Consiglio parrocchiale, nella comunicazione ecc. Recentemente abbiamo fissato anche per iscritto questo stile sotto forma di una linea-guida per la nostra équipe. Tante persone si sono ormai sintonizzate su quest’onda, che non è per nulla un fatto acquisito nella vita ordinaria delle parrocchie. Naturalmente, c’è anche chi si mette di traverso in questo.

Un quarto passo: «Quindi prendi le misure della città. Ricercane il capo spirituale. E va’ coi tuoi amici da lui. Esponigli il tuo piano».

Verrebbe da dire che il “capo spirituale” di questo insieme di parrocchie sono io, il parroco. Ma, in verità, non sono mica “mie”: sono di Cristo! Non è male perciò, mi dicevo, parlarne col vescovo. Ciò non ci ha dispensati, tuttavia, dall’impegno di sviluppare un piano pastorale. Abbiamo quindi deciso di nominare in ciascuna delle comunità una guida che ne coordinasse la vita. A suggerircelo è stato un documento dei vescovi tedeschi2. Eppure è stata una grande novità. Ho pensato che poteva essere una benedizione fare questo passo in unità col vescovo. L’ho quindi messo al corrente di quanto stavamo facendo ed egli ne era molto contento.

«Mira più lontano»

Una quinta indicazione dello scritto di Chiara Lubich: «Interessati poi dei più miseri, degli straccioni, degli abbandonati, degli orfani, dei carcerati. Senza oppor sosta all’azione, corri coi tuoi a visitar Cristo in essi, a confortarli, a svelare ad essi che l’amore di Dio è loro vicino e li segue».

A impegnarsi in modo particolarmente concreto in questo senso è stata una collega della nostra équipe. Con lo scopo di sollevare la situazione delle persone più bisognose ha riunito rappresentanti della Chiesa luterana, della Caritas, del comune e di varie associazioni. E tutti si sono impegnati con tanta solidarietà e serietà fraterna. Un’iniziativa che ormai si è configurata come un tavolo permanente che si ritrova regolarmente.

E infine un sesto passo: «Ma con un Dio, che ti visita ogni mattina, se vuoi, una città è troppo poco. Egli è colui che ha fatto le stelle, che guida i destini dei secoli. Accordati con Lui e mira più lontano: alla tua patria, alla patria di tutti, al mondo».

Per me ciò ha significato: non concentrare l’attenzione solo sui cattolici “praticanti” ovvero su quelli che vanno in chiesa, ma avere in cuore tutti. E il frutto non si è fatto aspettare: nel giro di un solo anno ho potuto riaccogliere quattordici persone che avevano ufficialmente abbandonato la Chiesa.

È di grande importanza, per noi, essere Chiesa «in mezzo alle case» (cf. Papa Giovanni Paolo II e Papa Francesco, EG 28). Coltivo perciò in modo speciale anche il contatto con i sindaci dei cinque comuni, presenti sul nostro territorio. E proprio in questi giorni, in cui scrivo questa testimonianza, tocco con mano quanto è prezioso questo rapporto. Si è verificato, infatti, un avvenimento molto triste: davanti al nostro supermercato un rifugiato ha ucciso una giovane mamma, anch’ella rifugiata, sotto gli occhi dei suoi due bambini. È stato un fatto molto doloroso che ha sconvolto tutta la regione. Risuona ovunque l’abissale domanda: «Perché?». Fortunatamente, in questa situazione così grave è in atto un’ottima collaborazione fra noi come comunità cristiane e il municipio, proiettati insieme nell’impegno di servire il bene della vita comune.

 

1) Scritti spirituali/1. L’attrattiva del tempo moderno, Città Nuova, Roma 19913, pp. 116-119.

2) Sekretariat der deutschen Bischofskonferenz (ed.), Gemeinsam Kirche sein. Wort der deutschen Bischöfe zur Erneuerung der Pastoral, 2015.

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