Papa e unioni civili. «Non scherziamo con la verità»
Si potrebbe discutere ad libitum nel merito delle dichiarazioni di papa Francesco sulle unioni civili: ci sarà chi sostiene che il papa abbia torto nel sostenere la necessità di trovare una soluzione legale alle unioni di fatto che non corrispondono alla tradizionale scelta di “un uomo-una donna” e di persone libere da precedenti vincoli matrimoniali; e ci sarà invece chi plaude a un pontefice che finalmente porta alla ribalta la situazione di milioni e milioni di uomini e donne, anche cristiani, che vivono le loro unioni clandestinamente, o perlomeno senza nessuna tutela da parte del legislatore.
Non entro in questa discussione che altri hanno già affrontato ampiamente anche in questo sito. Quel che ci interessa è invece un fatto comunicativo e informativo: si fa dire al papa quel che si vuole, che il giornale vuole che egli dica. In effetti le dichiarazioni di Francesco sulle unioni civili vengono spacciate da taluni come un’approvazione radicale dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, mentre altri cercano di sminuire in ogni modo la portata delle pretese esplosive dichiarazioni bergogliane. In mezzo, c’è invece chi vuole rimanere fedele alle parole esatte usate dal pontefice.
Tradizionalmente il giornalismo viveva di regole più o meno precise, ma comunque statuite da regolamenti e codici deontologici che hanno fatto la storia. Non si creda tuttavia che non vi fossero manipolazioni già nelle epoche dell’informazione considerate eroiche. Basti per tutti l’esempio dei giornalisti di sua maestà britannica che, durante la guerra di Crimea di metà del XIX secolo, approfittarono dei primi telegrafi a filo per dar conto di quel che succedeva sul campo di battaglia sulle rive del Mar Nero, ma guarda caso sempre sotto il controllo dell’esercito (il telegrafo apparteneva ai militari britannici) che ovviamente avevano tutto l’interesse a modificare la realtà a seconda delle loro strategie, facendosi in qualche modo baffo della verità.
L’espressione con la quale quest’articolo è titolato − «non scherziamo con la verità» − era stata usata proprio da Bergoglio e proprio a proposito di matrimonio e unioni civili nel libro di Dominique Wolton Dio è un poeta pubblicato da Rizzoli, come ricordato da Avvenire. In effetti, Bergoglio voleva con ciò mettere in chiaro che sostenere che serva una qualche protezione civile per le coppie dello stesso sesso non vuol dire equiparare matrimonio a unione civile. Anche perché nella concezione cristiana del legame tra uomo e donna la dimensione religiosa, o ancor più divina è essenziale. I riferimenti biblici sono univoci in questo senso. Ma la dimensione misericordiosa della visione cristiana del mondo, quella dei diritti umani e la “semplice” fratellanza universale spingono a non dimenticare nessuno, a non scartare nessuno, a non escludere nessuno dalla ricerca della propria felicità.
È vero, si potrà discutere su cosa sia la verità, si potrà cercare di estenderne o ridurne il campo in modi diversi, si potrà cercare di tenere assieme o di scindere la verità dalla bontà e dalla bellezza, ma la verità è certamente un orizzonte che non può essere dimenticato mai. Da laici e da credenti. La verità richiede nel giornalista, il professionista che maneggia le parole e i concetti, e che attribuisce la patente di verità agli eventi, un enorme rispetto per quanto una persona dice e fa. Certo, l’ermeneutica e le varie scuole della filosofia del linguaggio ci obbligano a prendere tutte le precauzioni del caso; ma la verità non è materia di scherzo.
Tutta la deontologia professionale, quindi, ha da essere al servizio della verità, usando di quell’onestà che viene troppo spesso dimenticata. L’onestà per i giornalista è l’antidoto all’ideologia, è la garanzia contro gli eventuali e inevitabili errori nell’interpretazione della realtà, è la prudenza che ti fa esitare e controllare e verificare non solo la narrativa generale, ma anche i dettagli.
Nelle ultime settimane, sempre a proposito delle questioni vaticane e dei comportamenti dell’uno o dell’altro degli esponenti più o meno in vista della Chiesa cattolica, non pochi colleghi hanno pubblicato, sotto l’idea che in ogni caso si debba servire il diritto di cronaca, delle notizie vere e verificate e altre probabilmente false e non verificate, creando un mix esplosivo che, amplificato dai social, crea colpevolezze talvolta inesistenti, dimenticando un altro diritto fondamentale che il giornalista deve rispettare, che è la presunzione d’innocenza.
Mi dispiace, non si possono applaudire quei giornalisti che, per servire il diritto di cronaca, non servono più la verità e dimenticano per strada l’onestà, a cui vengono anteposti lo scoop, la visibilità e il successo.