Papa Francesco, viaggio nel cuore dell’Europa
Papa Francesco pellegrino di pace e di fraternità nel viaggio tanto atteso in Ungheria e Slovacchia. Un avvenimento ricco di appuntamenti importanti fin dalla prima giornata: nella mattina del 12 settembre, a Budapest, il colloquio privato con il presidente dell’Ungheria Jonas Ader e con il primo ministro Viktor Orban, nel Museo delle Belle Arti, dove subito dopo ha incontrato i vescovi a porte chiuse. Poi, il primo incontro pubblico con i rappresentanti del Consiglio ecumenico delle Chiese e alcune comunità ebraiche ungheresi, organizzato significativamente tra le due feste di Rosh Hashanah e dello Yom Kippur.
«Penso alla minaccia dell’antisemitismo, che ancora serpeggia in Europa e altrove – dice papa Francesco esprimendo la sua preoccupazione -. È una miccia che va spenta. Ma il miglior modo per disinnescarla è lavorare in positivo insieme, è promuovere la fraternità». Quindi, l’invito a lasciare le incomprensioni del passato per camminare insieme verso le promesse di pace che Dio ha fatto per tutti. «Apprezzo tanto l’impegno che avete testimoniato ad abbattere i muri di separazione del passato; ebrei e cristiani, desiderate vedere nell’altro non più un estraneo, ma un amico; non più un avversario, ma un fratello. Questo è il cambio di sguardo benedetto da Dio, la conversione che apre nuovi inizi, la purificazione che rinnova la vita». Il papa utilizza la metafora del Ponte delle Catene, il più antico della città, che ne collega le due parti, le tiene unite, non le fonde insieme. «Così devono essere i legami tra di noi – afferma -. Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo».
Il Dio dell’alleanza desidera persone e comunità che siano «ponti di comunione con tutti». «In questo Paese voi, che rappresentate le religioni maggioritarie, avete il compito di favorire le condizioni perché la libertà religiosa sia rispettata e promossa per tutti», ha sottolineato il papa invitando ad avere parole mai di divisione ma sempre di apertura e di pace. «In un mondo lacerato da troppo conflitti è questa la testimonianza migliore che deve offrire chi ha ricevuto la grazia di conoscere il Dio dell’alleanza e della pace». E la strada migliore è sempre quella della preghiera: «Pregare insieme, gli uni per gli altri, e darci da fare insieme nella carità, gli uni con gli altri, per questo mondo che Dio tanto ama: ecco la via più concreta verso la piena unità».
Nella Piazza degli Eroi di Budapest, poi, il papa presiede la S. Messa a conclusione del 52° Congresso eucaristico nella forma della “statio orbis”, una sosta in cui la comunità locale e la Chiesa tutta si uniscono in preghiera. Passare dall’ammirazione di Gesù all’imitazione è l’invito di papa Francesco. Abbracciare la croce anche quando il suo annuncio sconvolge la vita, anche quando «vorremmo un messia potente anziché un servo crocifisso». In questo cammino l’Eucaristia ci ricorda che il Signore rimane sempre con noi «nella semplicità di un Pane che si lascia spezzare, distribuire e mangiare. È lì: per salvarci si fa servo». Anche Pietro si scandalizza davanti alla prospettiva della sofferenza, come tutti si ribella davanti al dolore. «La croce non è mai di moda: oggi come in passato. Ma guarisce dentro», ricorda Francesco esortando a camminare dietro Gesù lasciandosi trasformare dal pane eucaristico che ha nutrito i grandi santi, come Santo Stefano e Santa Elisabetta. Infine, l’invito a non accontentarsi di poco, ma di vivere «la svolta della grazia», lo slancio verso Dio e i fratelli.
Fraternità, comunione, rispetto reciproco, anche nelle parole conclusive dell’Angelus: «Questo vi auguro, che la croce sia il vostro ponte tra il passato e il futuro! Il sentimento religioso è la linfa di questa nazione, tanto attaccata alle sue radici. Ma la croce, piantata nel terreno, oltre a invitarci a radicarci bene, innalza ed estende le sue braccia verso tutti: esorta a mantenere salde le radici, ma senza arroccamenti; ad attingere alle sorgenti, aprendoci agli assetati del nostro tempo. Il mio augurio è che siate così: fondati e aperti, radicati e rispettosi».