Padre Dall’Oglio sparito ormai da sei mesi
L’avevo incontrato nella “sua” Mar Mousa tra il venerdì santo e la Pasqua del 2005. Era un periodo difficile per lui, difficile con le autorità ecclesiastiche locali e romane, che volevano “studiare” la sua fondazione monastica – Paolo è gesuita –, mentre dal punto di vista del dialogo interreligioso e interculturale, lo scopo della sua “pazzia” nel deserto, tutto andava a gonfie vele. Gli avevo chiesto il perché di quella fondazione. E lui mi aveva risposto così: «L’inculturazione è incontro. In terra islamica avviene tra cristiani, qui nella forma monastica, e musulmani. Con una motivazione tutta evangelica. L’incontro inevitabile con l’Islam ci obbliga a mettere in moto i motori della carità, dell’amicizia, del buon vicinato e ci porta a capire quanto debba essere radicata in Cristo la nostra fede cristiana».
Era un fiume in piena, padre Paolo, un focoso testimone del Cristo: «Il Vaticano II ha aperto la via del dialogo, ha messo dei “paletti” al di là dei quali non si può tornare indietro. La cristianità oggi spesso ha paura dell’altro chiamato Islam. Credo che la nostra presenza tra i musulmani e nel deserto possa far riflettere sulla necessità di un incontro ineluttabile. E ricco, ricchissimo».
Curiosità di vedere come andrà a finire: «La nostra comunità monastica non ha vita facile. Ma in questi anni abbiamo assimilato l’Islam, l’abbiamo scoperto e apprezzato, pur restando totalmente cristiani. Sulla mia tomba vorrei fosse inciso il mio nome in arabo, Boulos, l’apostolo del confronto col diverso da sé».
Boulos da sei mesi è prigioniero di non si sa bene quali milizie impegnate nello scacchiere siriano. Dopo l’espulsione subìta il 12 giugno 2012 – restano delle ombre sulla decisione governativa, che fu suggerita forse da qualche ecclesiastico, visto che Paolo Dall’Oglio si era chiaramente schierato contro il regime siriano e contro l’immobilismo delle gerarchie cristiane – l’esilio pesava troppo sulle spalle robuste del gesuita romano, che rientrò da clandestino in Siria. Leggo nel blog del collega della Rai, Riccardo Cristiano: «Prima che partisse per quel viaggio verso l'Oriente ero in ansia, come sarebbe stato chiunque per un amico che si accingeva a rientrare clandestino in Siria, tra bombe e carneficine. Lui mi ha detto che doveva farlo, per quei morti dimenticati dal mondo nelle loro indegne sepolture, ma anche per pregare che non ci fossero vendette stragiste, dall'altra parte del fiume, contro gli alawiti, vissuti da molti, per via delle squadracce assassine di teppa alawita, come “complici collettivi” del regime. Paolo conosce bene la teoria della violenza mimetica».
Sei mesi sono passati dal suo rapimento, misterioso come lo sono tutti quelli della cinquantina di persone che ancora sono nelle mani di diverse milizie dalla difficile classificazione, tra ribelli, terroristi qaedisti, bande di delinquenti comuni, mercenari… Gli ostaggi sono vescovi, preti, giornalisti, operatori umanitari, imprenditori. Mentre a Ginevra si continua ad assistere al muro contro muro tra governo e opposizione, la sorte di tali ostaggi è più che mai sospesa. Certamente un accordo qualsiasi, siglato dalle due parti a Ginevra 2, potrebbe facilitare il loro rilascio.
Ricordo l’alba di Pasqua a Mar Mousa. Scrivevo sul mio taccuino: «Alle quattro di mattino, dopo una notte di silenzio che urla, la messa dell’alba di Pasqua è un’esperienza di nascita o rinascita, cioè di resurrezione. Separati dal mondo, costretti nei pochi metri quadrati della cappella, illuminati da una sola candela piazzata al centro del cerchio ideale dei presenti, assistiamo al passaggio progressivo, lento ma inesorabile, dalle tenebre alla luce: la candela solitaria lascia lo spazio ad un candelabro, poi ai tanti lumi dei lettori delle Scritture cristiane, mentre poco alla volta dalle anguste finestrelle della cappella filtra una luce sempre più luminosa, fino all’esplosione di un raggio di sole che sfonda gli affreschi, rivelando dettagli insospettabili e aperture mai ipotizzate. La tenebra si colora di luce e d’amore della luce, rivelando che la verità è amore, che l’amore rivela la verità che è amore. Ed è allora la festa dello spirito e del corpo, della scrittura e della parola e della musica, in una crescente esplosione di festa e di gioiosa regalità. È Pasqua, siamo risuscitati ancora una volta. Nell’uditorio ci sono anche una dozzina di musulmani. Anche loro risuscitati dalla luce».
È l’augurio che rivolgiamo a Paolo Dall’Oglio: che al più presto riveda la luce dopo il sabato santo della prigionia. Lo facciamo assieme a coloro che partecipano quest’oggi alle decine di celebrazioni che si svolgono nel mondo intero per la liberazione del gesuita romano.